
Tragitto di Campagna a Lavello (PT)
Per quanto possa sembrare OT come argomento, ho deciso di parlare di questo insolito connubio per le bellissime sensazioni che ha scaturito in me, miste ai ricordi che mi sono rimasti impressi.
Quest’esperienza infatti coniuga le varie sfaccettature che caratterizzano il blog, aggiungendo un’altra dimensione raramente presente nei viaggi sostenibili: quella religiosa.
La religione è uno dei tanti elementi costituenti di un’identità locale e collabora nella creazione di tradizioni e di riferimenti ad essa nel corso della storia di un popolo.
Avere la fortuna di ritrovare questo aspetto in un viaggio, specialmente nel caso di turisti non credenti, ha un significato ancora più intenso, perché consente di conoscerne le usanze da un punto di vista esterno. Di pellegrinaggi religiosi ne esistono molteplici, si pensi a quello cattolico per eccellenza: il Giubileo. Questo evento di richiamo internazionale può essere interpretato in vari modi.
Personalmente, non lo trovo esplicitamente sostenibile: porta a una meta inflazionata e spesso chi ne prende parte pernotta in strutture di medio-alto livello, il tutto in un contesto costruito distaccato dal vero spirito del posto su questa importante ricorrenza.
Anche per questo motivo ho apprezzato particolarmente le parole di Papa Francesco quando ha parlato di San Pietro come una delle tante Porte Sante presenti nel mondo, svincolando i fedeli dalla necessità di recarsi in Vaticano (che non me ne vogliano gli albergatori della capitale).
Per non parlare del Cammino di Santiago, il famoso percorso a piedi che si conclude in Galizia. La sua fama ha spinto, specialmente nel corso degli ultimi anni, moltissimi fra i non credenti a ripercorrere queste tappe, semplicemente al fine di intraprendere un’impresa rara nel suo genere.
La mia personale esperienza mi porta a raccontare ciò che ho vissuto in maniera diretta, per rendere pubblica la convinzione che, per vivere un’esperienza così intensa, non è strettamente necessario spostarsi all’estero.
Esistono infatti tante piccole realtà che conservano questa tradizione da secoli in Italia, di cui non c’è quasi traccia sul web. Nello specifico, vorrei raccontare la realtà di Lavello (Pz) e del pellegrinaggio in onore della Madonna dell’Incoronata. I paesi lucani devoti sono molti, ognuno parte dalla propria località di appartenenza a piedi, con destinazione il Santuario foggiano; in pratica si percorrono due regioni in cammino, per svariati chilometri.
Nel mio caso, in una bella giornata di fine aprile, sono giunta a Lavello, una piccola cittadina arroccata su un’altura che alla sua entrata esibisce un panorama d’altri tempi: la città vecchia, un accrocchio di casette in pietra che dà l’idea della riproduzione a grandezza naturale di un presepe.
Ciò che mi ha colpita maggiormente è stata l’ospitalità, mi è stato offerto un letto sul quale riposare e degli alimenti superbi (da Pugliese D.O.C., mi costa alquanto ammettere di aver assaggiato un olio extravergine ottimo al di fuori della mia terra natale).
Il pellegrinaggio parte dalla Chiesa di S. Mauro, Santo patrono del paese, ancora prima che albeggi. Si va nel buio della notte, ben coperti, per le stradine di paese a raggiungere questo luogo di raduno. Da qui si parte, in una processione unica nel suo genere: alcune bambine indossano il vestito tradizionale, con i colori della Madonna.
In più, trattandosi di realtà dedite prevalentemente all’attività agricola, sfilano dei trattori di dimensioni mastodontiche, addobbati a festa con i fiori e tutti cantano e pregano ad alta voce in segno di riconoscenza.
Si percorrono strade, tragitti di campagna, si cammina per salite e discese fra i campi coltivati, alternati a prati immensi e natura selvaggia. Si vedono corsi d’acqua, si attraversano ponti, si intravedono casolari diroccati, si respira aria pulita in un’atmosfera di condivisione e di senso della comunità. I chilometri da macinare sono molti, c’è chi sosta nei trattori per dormire a metà strada e chi torna a casa in auto per ripartire qualche ora più tardi dallo stesso punto. A Ortanova si fa una pausa, gli abitanti aprono le loro case per andare incontro alle necessità dei pellegrini e partono iniziative spontanee, dai locali come dalla Croce Rossa, per offrire bevande e vettovaglie a chiunque ne abbia bisogno. A conclusione del percorso, si attende l’ultima parte della processione, quella che porta con sé il Crocifisso, composta da un gruppo di anziane signore che, pregando, trova la forza di affrontare l’intero tragitto a piedi. Nell’ultimo tratto, si fanno dei giri attorno al Santuario prima di accedervi e si osservano i vari gruppi in arrivo da tutte le località devote, fino a fondersi in un fiume di persone. Fra tutti, c’è chi percorre l’ultimo tratto a piedi scalzi, indifferentemente dalle condizioni metereologiche. Infine, si entra in Chiesa, si rende omaggio all’icona e non nego di essere stata aiutata a percorrere gli ultimi scalini, a causa delle gambe doloranti. Durante il rito, la commozione è forte, la stanchezza cede il passo a un’emozione indescrivibile. Accanto al Santuario c’è un piccolo museo che espone i miracoli compiuti nel corso degli anni.
La bellezza di questo evento, che si ripete ogni anno, sta nell’essere ancora poco noto, nonostante l’imponenza del numero delle persone coinvolte, e che pertanto ha mantenuto la sua autenticità nei secoli.
Sempre più spesso si rimane affascinati dai rituali religiosi di culture ben distanti da noi, quando siamo i primi a non conoscere queste meravigliose realtà.
Perché spingersi altrove quando lo spirito più autentico può essere a pochi chilometri da casa?
Tag:attività agricola, cammino religioso, pellegrinaggio, processione, santuario, tragitti di campagna