Questo quarto appuntamento con la rubrica di “Festival per le città accessibili” è dedicato alla pagina di diario, perché è stata davvero una sorpresa leggere proprio in questa stessa rubrica “Rosanna Benzi”.
Accade che a Genova, Giovanna Romanato vive tutt’ora in un polmone d’acciaio.
La testata Superabile le ha dedicato un articolo nel maggio scorso, così la prima idea scorrendo quel titolo è stata che la Rosanna che ho conosciuto fosse citata nel racconto di Giovanna, come fa lei stessa nel suo blog.
Persino l’immagine dei volti può confondere…
Già ai tempi dell’articolo su Superabile e forse complice il polmone, un po’ mi aveva confuso e solo nelle parole finalmente trovo conferma che l’articolo racconta proprio di “Pulce”, questo era per noi il nome di quella ragazza che frequentavamo in una stanza dell’ospedale S. Martino e di cui racconta Dora Millaci autrice dell’articolo. Il fatto è che io sono nato a Genova, e in quella città ho vissuto per i primi 19 anni della mia vita. Gli ultimi, tra altre cose come aggregato, potremmo dire “indipendente”, della Comune del Fondaco. Della stessa Comune di cui in qualche modo faceva parte anche Rosanna, argomentando l’assenza fisica giustificata causa Polmone d’Acciaio.
Al Fondaco, anzi qualche chilometro prima, esattamente alla stazione di Brignole, ho conosciuto la mia marziana e futura compagna che veniva a salutare il neo comunardo “Alioscia” figlio di Ornella e “Ciopper”. La stanza di neonato e genitori, come alcune altre delle 14 di cui era composto l’appartamento in Salita del Fondaco, quasi piazza De Ferrari, era decorata con i “murales” di cui ero l’autore quale giovane artista riconosciuto e autorizzato della “comune”.
L’appartamento occupava gli ultimi due dei sei piani di un palazzo senza ascensore e un po’ amore e passione un po’ io più giovane e Daniela più leggera, fatto sta che quei sei piani me li facevo anche un paio di volte al giorno con lei in braccio “come una sposa”, prestanza fisica a parte, come dire che intanto io l’idea “la buttavo là”. Quelli del Fondaco mescolavano, come allora succedeva, privato e politico, ma non solo, privato politico e sociale. L’amicizia con Rosanna Benzi era un tratto comune prima della comune stessa.
I già detti Ciopper (oggi stimato fisioterapista) e Ornella, Micio e Bici, Marco, Ermanno, G.B, insieme a me, invadevano con le nostre vespe e un “Galletto” Guzzi che era già vecchio allora, lo slargo all’imbocco di Salita del Fondaco, subito dietro l’edicola che allora era lì.
Tra lotte varie e assortite, comitati, gruppi ed altro ancora capitò di girare tre giorni e tre notti senza sosta intorno alla Fontana di piazza De Ferrari per testimoniare “contro la distrofia”.
A volte ci ripenso e non sono mai più riuscito a ricordare l’esatta logica della “protesta”.
Tranne il fatto che comunque, quale che siano le abilità mancanti, per avventura o congenite, rare o comuni che siano la differenza di classe e sociale, se non è la causa di certo aggiunge diseguaglianze alle differenze (ma per questo ancora molto ci sarebbe da girare intorno a quella fontana).
Ma fu anche il “comitato unitario handicappati”, il libro bianco “handicappati non solo si nasce ma si diventa”, manifestazioni, incontri e scontri e le “lotte” dell’Istituto per Ciechi Davide Chiossone, poeticamente riviste nel film “Rosso come il cielo” (vedi anche le news scorse).
Il più di quelle “vespe”, quando non erano intorno alla Fontana di piazza De Ferrari, erano al parcheggio dell’Ospedale S. Martino colorando la scorta, quella ufficiale, sanitaria e di sicurezza delle straordinarie “uscite” di Rosanna.
Ma non solo nelle vie di Genova, vespe e vesponi ci portavano nelle avventure fuori dalla città, testimoniavano la presenza del “gruppo di Genova” nei “campi estivi” qua e là per l’Italia (e perfino all’estero, ma quella volta senza i vesponi), magari anche ad impastare la calce di quella che oggi è la comunità di Capodarco.
Forse c’è un filo che lega esperienze lontane nel tempo e nei luoghi, vite vissute e che vivono ancora. Con Rosanna, in un certo qual modo iniziò quella sfida che un po’ prosegue anche in queste news, e nell’impegno dell’Associazione Festival per le città accessibili.
Con lei, insieme a mio fratello Marco, oggi insegnante della scuola d’infanzia allora operaio all’Italsider, ci incontravamo per scrivere un libro. Ci vedevamo una volta alla settimana per scrivere su fogli di carta parole e frasi, soggetti, predicati e congiuntivi, tra cui, con la tecnica “rubata” alla “Lettera a una professoressa“, avrebbero potuto esserci quelli giusti.
Elementi adatti a raccontare, partendo dall’ordinaria straordinarietà della vita in un polmone d’acciaio, un mondo capace di includere “tutti gli emarginati della società”, come reciterà poi la testata che sarà diretta da Rosanna Benzi, che è nelle piccole cose di ogni giorno, di ciascuno e in ciascun momento. Anche questo era (ed è) per noi la politica. Il gruppo di lavoro si sciolse quando uno scrittore vero, forse per evitare un giudizio più severo dei nostri appunti, suggerì che la storia per essere efficace avrebbe dovuto iniziare con la morte della protagonista.
Come è facile immaginare fra di noi ne nacque un confronto acceso che finì per esaurire il nostro impegno.
Un libro vero, a cui ne seguirà anche un secondo, uscirà praticamente dieci anni dopo, nel 1984 firmato da Rosanna Benzi e Saverio Paffumi con il titolo “Il vizio di vivere” (il secondo è “Girotondo in una stanza” – 1987). Rosanna la potete ascoltare qui in una intervista.
P.S. In un suo editoriale Rosanna, rileggendo i suo articoli passati, si meravigliava della coerenza nel tempo di analisi e passioni… ma poi, riflettendo ancora un po’, osservava che più che di coerenza si trattava che problemi e problematiche, nel tempo, continuavano ad essere sempre gli stessi.
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