“Elaste me agàpi, amèste me irìni ce ighìa”
(Venite con amore, partite con la pace e la salute)
Leggendo questa frase di benvenuto, contemplo da una splendida balconata panoramica di Bova-Chora (850 metri s.m.) la cima dell’Etna (ancora innevata nella sua parte superiore) al di là del Mar Jonio, che unisce la parte sud dell’Aspromonte alla Sicilia.

Veduta area di Bova (RC) -www.strettoweb.com
Sono per qualche giorno a Bova, cuore della Calabria grecanica, piccolo scrigno di storia, miti e monumenti, uno dei borghi più belli d’Italia, ospite del Gruppo di Azione Locale dell’Area Grecanica. Tutte le vie, le iscrizioni, i negozi e le diverse indicazioni sono scritte in greco antico, graficamente ‘riprodotto’ nei caratteri latini, perché qui la lingua ha continuato a vivere e a essere parlata dagli abitanti fino a pochi decenni fa: ancora oggi c’è chi la conosce, la studia e la pratica.
E non è solo la lingua greca a sopravvivere in questo speciale territorio della Calabria, ma anche la cultura, i miti e i simboli a essa connessi. Emblematico, a questo riguardo, è il modo in cui viene ogni anno celebrato il rito delle Palme, con la magistrale creazione delle Pupazze, figure femminili create con l’intreccio paziente ed esperto di foglie intorno a un asse di canna. Queste figure vengono poi ‘vestite’, cioè abbellite e ornate con fantasia con fiori freschi di campo e ingioiellate con frutta fresca e primizie. Dopo la benedizione delle Palme, le ‘sculture’, poste sul sagrato della Chiesa, sono avvicinate dalla gente e in parte smembrate delle loro componenti, le staddhi, che vengono distribuite tra gli astanti e collocate su un albero del podere, come segno di benedizione del lavoro agricolo di un intero anno, oppure all’interno delle abitazioni come oggetti/simboli di protezione degni del massimo rispetto.

Le Pupazze
È il signor Carmelo, gentilissimo e colto abitante di Bova, a spiegarmi tutto questo, aggiungendo poi come alcuni importanti studiosi facciano risalire la pratica popolazioni preistoriche, che usavano evocare la Madre Terra con riti propiziatori delle messi e della fertilità. Le figure femminili, così particolarmente create (le Pupazze appunto), ci ricordano anche – aggiunge Carmelo – il mito di Persefone e di sua madre Demetra, le dee greche che presiedevano all’agricoltura. E in questo discorso si inserisce perfettamente la presenza di un museo all’aperto, un interessantissimo “percorso agricolo” dislocato nelle varie vie e piazze del paese e costituito dalla presenza di pietre, oggetti e attrezzi utilizzati nel tempo dagli operosi agricoltori del posto, veri monumenti di questa fondamentale e preziosa cultura locale, debitamente spiegati in molteplici lingue (greco antico, grecanico, italiano e inglese).
E così, passeggiando tra le vie di Bova, guidata dalla simpatica e preziosa compagnia di Saverio, creatore di questo particolare museo, vengo a conoscere la funzione e la specificità di ognuno dei diversi attrezzi che incontro nel mio viaggio, comprendendo e rivivendo in poco tempo il lavoro di centinaia d’anni e l’ingegno secolare dei suoi abitanti! È sempre Saverio a ricordarmi come Bova abbia sempre realizzato una perfetta simbiosi tra due mondi, quello contadino e quello pastorale. Abbondano per questo prodotti quali i cereali, l’olio, il vino, i latticini, la seta, il lino e il miele. Si tratta di beni che, ieri come in parte anche oggi, connotano il benessere di una società agropastorale bene organizzata, capace di impiegare il suolo, oltremodo ‘ubertoso’, con cura intelligente.
Sono ormai al termine della mia permanenza in questa terra: il toccare con mano, il sentire ancora così viva la ricchezza e la profondità della cultura greca, con i suoi molteplici miti e i suoi simboli sempre attuali, mi fanno facilmente ricordare alcune bellissime riflessioni del più grande psicanalista italiano vivente di ispirazione junghiana, Luigi Zoja, che trova in questa ineguagliabile cultura e mitologia ellenica una ricchezza preziosissima per il ben vivere dell’uomo contemporaneo.
Sì, davvero, la grande opportunità di respirare per qualche giorno questa cultura mi consente di fare pienamente mio l’augurio trovato il primo giorno su quella pietra: “Ameste me irìni ce ighìa” : partite con la pace e la salute!
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