Le api e gli altri impollinatori, sia selvatici che allevati, sembrano essere in declino a livello globale, ma in particolare in Nord America e in Europa. Oltre 70mila firme sono arrivate su www.SalviamoLeApi.org, 1.140 i retweet con l’hashtag #SOSapi, poi tantissime foto da balconi, orti e giardini con il cartello “Qui api al sicuro” e milioni di persone raggiunte su Facebook.
In meno di due mesi, la campagna di Greenpeace per salvare le api ha dato vita a una community che, da ogni parte d’Italia, ha deciso di fare rete su Internet e nelle proprie città per proteggere gli insetti più preziosi per l’agricoltura e per il nostro cibo.
Un progetto che integra web e mobilitazione al di fuori della rete. Così www.SalviamoLeApi.org parte dalla petizione online rivolta al ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Nunzia De Girolamo, per poi passare a una lista di azioni che il singolo utente può mettere in atto a casa sua per salvare le api. Per un estate salva-api, quindi, basterà un computer e un po’ di ingegno, le istruzioni le fornisce Greenpeace. Tra queste anche consigli pratici per creare un vero e proprio alveare “fai-da te” e come coltivare un giardino con i fiori più graditi dagli insetti.
I fattori più importanti che incidono sulla salute degli impollinatori sono correlati a malattie e parassiti, oltre che alle pratiche agricole di stampo industriale che influenzano molti aspetti del ciclo di vita delle api. Anche i cambiamenti climatici comportano ulteriore stress per la loro salute.
Alcuni pesticidi costituiscono un rischio diretto per gli impollinatori. L’eliminazione delle sostanze chimiche più pericolose per le api è il primo e più efficace passo da adottare per tutelarle. Il cosiddetto Colony Collaps Disorder, la sindrome di spopolamento degli alveari, non ha risparmiato l’Italia. Nel corso degli ultimi anni sono state osservate morie anomale di api, in particolare negli anni 2007 e 2008.
Il 17 ottobre 2008 è entrato in vigore il primo divieto temporaneo dell’uso, per la concia di sementi, dei prodotti fitosanitari contenenti quattro sostanze attive: clothianidin, thiamethoxam, imidacloprid e fipronil. In corrispondenza delle aree di coltivazione del mais trattate con queste sostanze e della polvere diffusa durante le operazioni di semina contenente le quattro sostanze attive, si sono riscontrate infatti le morie più pesanti per le colonie di api. Nel 2009 è stato avviato il progetto “Apenet: monitoraggio e ricerca in apicoltura”, coordinato dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), attraverso la propria Unità di ricerca in apicoltura e bachicoltura (Cra-Api). Le ricerche di Apenet hanno dimostrato la presenza di effetti sinergici e di interazioni tra le diverse sollecitazioni cui l’alveare è sottoposto, il legame tra la presenza di pesticidi e alcuni fenomeni patologici, e tra la qualità dell’alimentazione proteica e il livello di resistenza ad alcuni fenomeni ambientali e ai patogeni.
Ma cosa può fare ognuno di noi per salvare le api? Coltivare fiori ricchi di nettare e costruire un alveare con legnetti e mattoni. A suggerire le buone pratiche è proprio Greenpeace che consiglia a chi è appassionato di giardinaggio e possiede il famoso pollice verde, di fare scelte sostenibili con i fiori amici delle api, come ad esempio la calendula, la lupinella e la facelia, ricchi di polline e nettare per nutrirsi. Se si ha una buona manualità, infine, si può costruire un alveare con una cornice di legno, ceppi di quercia e faggio o un mattone traforato, da lasciare in aree vicine a campi con fiori come papaveri, fiordaliso o bocche di leone.
Secondo le stime della FAO, si legge nel documento redatto da Greenpeace, le api si occupano dell’impollinazione di 71 delle circa 100 colture che forniscono il 90 per cento dei prodotti alimentari a livello mondiale. Solo in Europa l’84 per cento delle 264 specie coltivate dipende dall’impollinazione degli insetti, mentre 4.000 varietà di vegetali esistono grazie all’impollinazione delle api. (Unep, 2010)
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