Un festival che riflette sul rapporto contemporaneo fra l’uomo e l’ambiente, sulle connessioni che instauriamo con gli elementi che ci circondano, sulle conseguenze politiche e sociali che una relazione di mero sfruttamento delle risorse può comportare. Questo e molto altro è il Green Movie Film Fest di Roma: giunto ormai alla sua seconda edizione, racconta “l’ambiente rubato e l’ambiente riconquistato, come spazio fisico ma anche spirituale”.
Due giorni -14 e 15 settembre – per parlare di sostenibilità, ma senza ricerche di supporto o analisti a fare da consulenti. Il concetto di sostenibilità, infatti, è declinato in senso umano e ambientale: ci narra un rapporto disarmonico che crea conseguenze non solo sul piano meramente biologico o geologico, ma anche e soprattutto sul piano sociale. La diseguaglianza sociale e lo sfruttamento umano sono messi sempre di più in relazione con lo sfruttamento delle risorse naturali e l’assenza di tutele.
Marino Midena, direttore artistico del GMFF, ha raccontato al Daily Slow, com’è andata la seconda edizione del festival:
“Il bilancio complessivo è molto positivo: abbiamo registrato più partecipazione, più attenzione di associazioni e istituzioni verso tematiche del genere. Il cinema ambientale è un orientamento che sta prendendo sempre più corpo: aumentano le pellicole e la loro qualità, mentre il pubblico guarda con sempre più interesse e competenza”
Si parla soprattutto di uomini e donne coraggiose, che raccontano lotte, attivismo, impegno in difesa dei territori, opere di denuncia del malaffare che s’insinua nelle attività imprenditoriali ambientali, nuove proposte per impostare modelli di vita sostenibili. Ed è proprio il fracking –una delle attività ritenute più dannose- ad essere narrato in Promise Land, l’opera di Gus Van Sant, con con Matt Damon e Frances McDormand, che ha aperto il festival nella giornata di sabato.
A seguire, sono stati proiettati due documentari in collaborazione con il Festival Recicla di Madrid. Il primo, Yasuni, el buen vivir , diretto da Arturo Hortás e già vincitore del Premio Editores sociales audiovisuales 2013 di Granada: narra le vicende e le lotte a tutela del Yasunì, una delle zone più preziose dell’Amazzonia ecuadoriana, in cui vivono anche alcune popolazioni indigene e che viene devastato dalle attività per le estrazioni del petrolio.La seconda opera è invece El gigante, diretto da Bruno Federico, Andrea Ciacci e Consuelo Navarro: la costruzione di una diga minaccia la valle del fiume Magdalena, la sua gente e il loro modo di vivere. Alle multinazionali Enel/Endesa e Impregilo che procedono nella costruzione ignorando le voci di dissenso, si sono opposti un gruppo di coraggiosi contadini: un anno di lotta ancora non conclusa.
“Abbiamo cercato di testimoniare due delle lotte dei tanti davide contro i golia: due storie similari ma, allo stesso tempo, agli agli antipodi. Da un lato c’è abbiamo lo sfruttamento delle risorse idriche in Colombia, dall’altro un progetto di devastazione di alcune valli in Turchia, tutte e due iniziative portate avanti con il sostegno dei rispettivi governi: ad affrontarle solo la coscienza delle popolazioni che in quei territori vivono ogni giorno”
Uno spazio per raccontare come le lotte possano essere geograficamente distanti, ma vicine a livello di contenuti e richieste: quasi sempre rivendicazioni portate avanti da contadini, popolazioni locali e indigeni, di cui si vorrebbe cancellare i diritti.
“E’ commovente vedere persone che fino al giorno prima lavoravano i campi riuscire, davanti alla telecamera, a raccontare quelli che sono i fatti essenziali legati al rapporto con un territorio, con chiarezza e semplicità. Sono soprattutto le donne a raccogliere e interpretare i bisogni legati alle radici e alla tutela ambientale: schiacciate da un liberismo sfrenato che concede nulla, soffrono forse più degli uomini per l’impoverimento delle risorse”
Uno spazio importante è stato dedicato agli otto cortometraggi realizzati da giovani cineasti nell’ambito del Progetto Serra promosso dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con la Fondazione Cinema per Roma: un laboratorio di creatività cinematografica a tema ambientale.
Se è vero che negli States il filone del cinema ambientale sta prendendo sempre più piede, in l’Italia –anche se in ritardo- si registra un crescente interesse sia da parte degli addetti al settore, che del pubblico:
“Gli Stati Uniti hanno fatto da capofila –ha spiegato al Daily Slow Marino Midena- ma anche in Italia, il cinema s’interessa sempre di più ai problemi ambientali e agli stili di vita insostenibili:il progetto Serra, ad esempio, ha condotto, grazie all’azione del ministero, 8 giovani cineasti ad esprimersi questi temi. Le richieste e i risultati sono stati ottimi: questo testimonia che c’è un bisogno espressivo sempre più forte legato alle questioni ambientali”
A chiudere la giornata del 14, infatti, il pluripremiato debutto alla regia di Luigi Lo Cascio: La città ideale, che ha ricevuto il Premio Vittorio De Sica per la miglior opera prima, il Premio della critica ai Rencontres du Cinéma Italien de Toulouse e il Premio Arca Cinema Giovani per il miglior film italiano alla Biennale di Venezia 2012.
“Il cinema italiano è indietro: ma è un errore pensare che siamo avulsi- ha sottolineato Midena- ci sono segnali ben precisi che qualcosa sta cambiando. Non è un caso nel programma siano stati inseriti due lungometraggi italiani che fossero legati al tema”
Ancora cortometraggi, con il progetto di comunicazione ambientale Una storia in comune, per la regia di Alessio D’Amico, proiettato nella seconda giornata del festival. A seguire, il documentario vincitore all’Abu Dhabi International Environmental Film Festival 2013: A few brave people diretto da Rüya Arzu Köksal, che ha impiegato tre anni di riprese per completare l’opera. Il film parla della lotta degli abitanti nella regione del Mar Nero, che si oppongono al piano governativo di costruire di decine di centrali idroelettriche in valli preziosissime e alla cessione a privati dello sfruttamento delle risorse idriche della regione.
L’Ultimo pastore di Marco Bonfanti, proiettato domenica alle 18 parla dell’ultimo pastore nomade di una metropoli, Milano che, con grazie alla fantasia riesce a realizzare il suo sogno.Nella serata di domenica, il docufiction Meno cento chili, con la regia di Emanuele Caruso, ispirato al libro “Meno 100 chili – Ricette per la dieta della nostra pattumiera” di Roberto Cavallo: perché sostenibilità alimentare e riciclo dei rifiuti sono tasselli fondamentali nella costruzione di stili di vita alternativi.
“Il documentario è un bellissimo viaggio all’interno dell’Italia che testimonia come i singoli possano ridurre il proprio impatto senza operare grandi stravolgimenti, ma con piccoli accorgimenti. Grazie all’apporto di grandi nomi, come quello di Mercalli, l’obiettivo era raccontare, in modo semplice e dialogato, come si può agire dire rettamente per cambiare le cose, senza aspettare che siano istituzioni o organismi internazionali ad intervenire con le leggi”
Dopo il cortometraggio Il turno di notte lo fanno le stelle diretto da Edoardo Ponti con Nastassja Kinski, Enrico Lo Verso, Julian Sands, il GMFF con una visione apocalittica: Pandemia per la regia di Lucio Fiorentino.
“Un’altra testimonianza dell’interesse che il cinema italiano nutre per le questioni ambientali –ha concluso il direttore artistico del GMFF- è la proiezione, oltre all’opera pluripremiata di Luigi Lo Cascio, di Pandemia, Lucio Fiorentino. Un esperimento, il primo disaster movie italiano, senza effetti speciali ma con contenuti davvero forti e una grande potenza evocatrice, che ha avuto un riscontro notevole da parte del pubblico”
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