È ormai risaputo che il Sudafrica produce vino. A chi si trova nei pressi di Città del Capo viene spesso proposto di dedicare almeno un giorno alla visita dei vigneti; tuttavia so per esperienza che questa proposta lascia un po’ perplessi i viaggiatori di origine italiana. “Ma come” – dicono – “proprio noi che produciamo ottimi vini, e che abbiamo una tradizione enologica assai più antica, dovremmo dedicare il nostro tempo ai vigneti sudafricani?”. Sì, rispondo io. Per tre buone ragioni: la Storia, le storie e gli assaggi.
Innanzi tutto, visitare i vigneti del Sudafrica significa confrontarsi con la sua storia.
Spesso, viaggiando fra le fertili vallate delle winelands, ho sentito commentare che “sembra di essere in Europa”. Vero, in parte. Invece di savane e leoni in queste zone troviamo montagne, frutteti e case nel tipico stile cape dutch. I leoni – che un tempo c’erano anche qui – sono stati sterminati poco dopo l’arrivo dei primi coloni: dalla metà del 1600 in poi, infatti, olandesi, tedeschi, scandinavi, francesi e inglesi si sono stabiliti in questo angolo di mondo, portandovi molto presto schiavi catturati in oriente. E tutti sono rimasti.
Il giro dei vini offre più di uno spunto per riflettere sulla storia pre e post coloniale. Per esempio, sapevate che nel 1600 Giava era sotto occupazione olandese? Gli olandesi espatriati avevano gusti europei, e gradivano il vino, ma il clima di Giava non ne permette la produzione. Il vino veniva quindi mandato dall’Europa e arrivava sull’isola dopo un viaggio via nave della durata di molti mesi, durante i quali spesso si trasformava in aceto. Non appena iniziata la colonizzazione del Sudafrica gli europei si accorsero che il clima locale era adattissimo alla viticoltura, e così i primi vigneti vennero piantati proprio per rifornire gli olandesi di Giava: il viaggio era infatti molto più breve, e le chances che il vino arrivasse ancora in buone condizioni, ottime. Come avveniva il trasporto, dato che il tappo di sughero non era ancora stato inventato? E che ci facevano gli olandesi a Giava? Ragionare sulle questioni pratiche può dare spessore alla nostra visita dei vigneti sudafricani, aiutandoci a inquadrarli nel contesto dell’espansione coloniale europea. Facendo un salto di oltre cent’anni arriviamo all’epoca delle guerre napoleoniche e della concomitante bancarotta della Compagnia Olandese delle Indie Orientali: il traffico di merci verso l’Europa diventa più agevole, e l’impatto sulla viticoltura sudafricana è positivo. I viticoltori locali aumentano la produzione e migliorano la qualità, per conquistare il palato raffinato dei consumatori europei.
Allo stesso tempo, per i coloni di origine scandinava o olandese i collegamenti con la “madrepatria” si fanno invece più scarsi, lasciandoli così isolati che questi cominciano a considerarsi più africani che europei (ecco perché si definiscono afrikaner): cominciano a prendere forma alcune delle identità che oggi costituiscono la nazione arcobaleno: non solo la già citata cultura afrikaner, ma anche la cultura cape malay, espressione delle identità dei prigionieri mandati al confino e degli schiavi portati dall’area indonesiana, dal sud dell’India e dal Madagascar. E non dobbiamo dimenticare chi abitava il Sudafrica prima dell’epoca coloniale: i san (boscimani), i khoekhoe (ottentotti), e le numerose popolazioni di lingua bantu (come, per esempio, gli zulu).
In molti luoghi le storie personali si intrecciano con la Storia, e sono ormai numerose le aziende vinicole che valorizzano e rendono fruibile questo patrimonio. Da Spier (che potete trovare su Twitter @SpierwineFarm o su Facebook), una wine estate nella zona di Stellenbosch, è possibile noleggiare cuffie e lettore MP3 per visitare la tenuta immersi nelle storie del passato. Sannie de Goede, personaggio di fantasia ma storicamente credibile, guida i visitatori in un’emozionante passeggiata che descrive com’erano in un altro tempo (1766) gli stessi luoghi che vediamo oggi. La visita comincia dal luogo in cui schiavi giavanesi preparavano i mattoni necessari alla costruzione degli edifici circostanti, e, ne svela i segreti, anno dopo anno, edificio dopo edificio, prestando la sua voce a chi fra quei muri ha vissuto. Al termine della passeggiata non solo si è imparato ad apprezzare l’architettura cape dutch e le diverse soluzioni stilistiche adottate nei timpani, che ne sono l’elemento simbolo, ma si ottiene un “senso del luogo” di grande profondità.
Sulla strada che porta a Franshhoek si trova invece l’azienda vinicola Solms-Delta (che potete trovare anche su Twitter @solms_delta o su Facebook): il suo piccolo museo raccoglie le testimonianze delle popolazioni indigene (khoe e san) e degli schiavi con l’obiettivo di far conoscere e dare valore a storie troppo a lungo ignorate da un sistema politico oppressivo. Oltre agli scavi archeologici, che hanno fornito molto del materiale raccolto nel museo, Solms-Delta promuove ricerca e valorizzazione della musica tipica di questa regione, e ospita ogni anno un bellissimo festival di musica tradizionale. Come se non bastasse, ha un giardino di erbe indigene, che si possono gustare nei piatti serviti al ristorante Fyndraai, rivisitazione in chiave moderna della gastronomia tipica del Capo. Siamo proprio sicuri che siano le stesse esperienze che possiamo fare visitando le strade del vino italiane?
A queste due ragioni ne voglio aggiungere una terza, forse un po’ ovvia ma non meno importante: i vini locali meritano di essere assaggiati. Non si tratta di una gara chi è più bravo a vinificare, come la prende qualcuno. Si tratta, piuttosto, di aprirci a gusti nuovi, di apprezzare uno stile di vinificazione diverso da quello cui siamo abituati (qui lo chiamano “stile nuovo mondo”), con aromi intensi e percentuale alcolica elevata, di abbandonare il nostro snobismo (i vini bianchi non vanno affinati in botte) per sperimentare che profumo e che gusto hanno i vini locali passati più o meno a lungo in barrique, e di provare dei cultivar autoctoni, come il pinotage, che è un vitigno nato dall’incrocio di pinot noir e hermitage, e non un blend creato in cantina!
Che sia attraverso il vino, la musica, la cucina, i paesaggi, la visita ad un museo, un giro dei vigneti è fondamentale per comprendere il Sudafrica, le sue storie frammentate e le sue molteplici identità. Non perdetevelo!
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