A Civita, piccolo comune nel Parco Nazionale del Pollino, circa 20 anni fa quattro capre sono sfuggite al tradizionale tipo di allevamento “stanziale” e sono rimaste libere di scorrazzare sulla Timpa del Demanio. Le capre allo stato brado si sono ambientate e moltiplicate in un habitat dove nessuno le disturba; proprio come gli stambecchi, raggiungono i luoghi più inaccessibili per mangiare le erbe preferite ed è impressionante come si mimetizzino tra i colori della roccia.
Basta percorrere per pochi kilometri la strada che da Civita porta su in montagna e a quasi mille metri di quota, poco prima di arrivare a Colle Marcione, si scopre che la sommità della Timpa del Demanio accoglie una distesa di faggi che si raccorda dolcemente al bosco di Santa Venere (poco più a nord). Tanto è grigia e inospitale l’arida roccia della parete verticale, tanto è verde e ricca di vegetazione la sua sommità, invisibile dal centro abitato di Civita.
Allo spettacolo senza pari della Timpa del Demanio, del Ponte del Diavolo e delle Gole del Raganello, si aggiunge quello delle capre selvatiche che brucano sulla roccia, in posizioni che fanno dubitare della presenza della forza di gravità in questi luoghi. Si tramandano alcune vecchie storie sulla Timpa del Demanio, tutte avvolte da un alone di mistero, raccontate con circospezione come segreti preziosi.
Si narra di tesori nascosti nelle tante grotte, sospese a decine di metri sopra il Ponte del Diavolo, quelle stesse grotte che si popolano di streghe minacciose nei racconti noir delle vecchie comari per spaventare i bambini troppo vivaci. Le capre scalatrici, insieme ai pastori “rocciatori” che spesso le accompagnavano, hanno sempre abitato le storie e le leggende popolari civitesi; grande fonte di ispirazione, in un mondo fantastico dove le numerose grotte nella roccia rosa nascondevano creature misteriose, e tesori preziosissimi quanto inaccessibili.
di Antonluca De Salvo
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