Comprare nuovi capi di abbigliamento, elettrodomestici, oggetti per la casa: buttarne altrettanti, anche senza una motivazione valida. E’ uno degli imperativi distorti dell’era del consumismo di massa, da cui la nostra società sembra –almeno in parte- prendere ora le distanze. Da qualche decennio, la presa di coscienza sull’impatto delle attività umane sull’ambiente, ha portato molti consumatori”a modificare il proprio stile di vita, cercando di creare nuove pratiche d’uso degli oggetti, nuovi modelli di relazioni sociali ed economiche, nuove attività critiche.
Una rivoluzione enorme, che si traduce però in piccole azioni ed attività pratiche, da seguire nel quotidiano: riparare gli oggetti anziché buttarli, fare attenzione alla loro destinazione nel cassonetto, comprare cibo prodotto in modo sostenibile, cercare di mettere i propri risparmi in una banca etica. Una delle iniziative più interessanti, nata a fine degli anni ’80 ma ritornata in auge da poco è lo Swap Party.
Le sue origini si rintracciano a Manhattan, lo swapping è essenzialmente il baratto dei propri vestiti: e non è un caso che questo tipo di eventi siano nati e si siano diffusi in un quartiere che ha fatto dello shopping sfrenato una delle proprie colonne portanti. Dagli States si è piano piano diffuso anche in Europa, contagiando anche il nostro Paese e allargandosi anche all’oggettistica, agli accessori, fino ai piccoli elettrodomestici: si moltiplicano i gruppi Facebook come I love swapping, le community come lo Swap club, i mercatini fissi o una tantum come quello del Mò Mò Repubblic, locale nel quartiere Monteverde a Roma.
Ma come funziona uno Swap Party? La prima regola da tenere a mente è che lo Swap Party è una vera e propria festa: le relazioni sociali sono in primo piano, in un’ottica di scambio che non sia solo merceologico, ma anche umano. Si può organizzare in un locale, ma anche in un’abitazione privata: la cosa importante è avere uno spazio dove poter mostrare i capi in baratto e uno dove poterli provare.
Un altro elemento chiave è la fiducia: allo Swap Party non si fanno conti economici in merito al proprio scambio. Spesso gli eventi meno improvvisati decidono di avere qualcuno “super partes” che controlli, in entrata, il buono stato degli oggetti: ma questa non è una regola fissa, mentre lo è quella di portare al party solo prodotti in buono stato.
L’organizzazione dello Swap Party è quasi sempre affidato ai social network, come Facebook, Twitter, oppure tramite l’email, in modo da avere anche un’idea del numero dei partecipanti: altrettanto spesso, però, si organizzano Swap Party nel proprio condominio o quartiere, con il vecchio metodo del passa parola.
Durante la festa, si può prevedere di preparare del cibo, invitando i partecipanti a fare lo stesso, aumentando così la profondità dello scambio fra sconosciuti. Altra regola d’oro, naturalmente, è quella di portare via tutto ciò che non è stato barattato, donandolo a un’organizzazione no profit, a un mercatino dell’usato o, nel caso dei vestiti, riponendoli al limite nei cassonetti gialli, dedicati al riutilizzo.
Di Swap Party ormai ne esistono di tutti i tipi: lungi dall’essere limitati ai giovani o ai capi d’abbigliamento a buon mercato, oggi si moltiplicano anche gli Swap Party di lusso. Infine, lo Swap Party si è esteso anche al settore delle neo mamme: una delle fasce più pressate da acquisti spesso molto costosi. Non solo un metodo per risparmiare ma, soprattutto, un prezioso insegnamento per i propri figli.
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