Una mappa per analizzare i coralli presenti sul nostro pianeta e descriverne i fattori di stress: l’ha realizzata un team internazionale di scienziati con lo scopo di tutelare le barriere coralline più importanti la sostenibilità dell’ambiente terrestre. Pubblicato sulla rivista scientifica PLoS One, lo studio potrebbe portare ad costruire un metodo innovativo per difendere le barriere, proprio partendo dal loro comportamento naturale.
Secondo il programma monitoraggio della barriera corallina australiana, la Grande Barriera Corallina ha perso la metà del suo corallo solo negli ultimi 27 anni. I ricercatori dell’Istituto di scienze marine australiane (Aims) di Townsville hanno determinato i fattori alla base della riduzione del corallo: il maltempo per il 48%, le stelle marine per il 42%, e lo sbiancameneto dei coralli per il 10%, in cui si include anche il riscaldamento delle acque oceaniche.
Il programma, dal 1985, ha analizzato oltre 100 barriere, e dal 1993 ha incorporato indagini annuali più dettagliate riguardanti 47 specifici luoghi.
Esperti provenienti dal Coral Reef Information System (CoRIS) della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) hanno messo a punto la nuova mappa, identificando i fattori di stress che la gestione degli ecosistemi non è in grado di controllare, come la radiazione ultravioletta, le temperature di superficie e le calme equatoriali, mentre fattori controllabili sono la localizzazione delle aree protette e la riduzione degli influssi umani.
La mappa descrive a grandi linee la radiazione ultravioletta, le temperature elevate, i sistemi atmosferici e la sedimentazione, oltre a fattori di riduzione dello stress come la dinamica delle maree e la variabilità della temperatura.
I risultati sono stati ottenuti grazie ad un set di dati provenienti dai satelliti, con il metodo che in matematica chiamano della logica sfumata: la capacità di occuparsi di dati incompleti sulla fisiologia dei coralli e sulle interazioni tra coralli e l’ambiente circostante. Oltre ad individuare i fattori deleteri, gli scienziati hanno suddiviso le barriere secondo i livelli di esposizione allo stress.
Il primo gruppo di regioni coralline – quelle comprese fra il Sud-Est asiatico, la Micronesia, il Pacifico orientale e l’Oceano Indiano centrale- sono caratterizzate da stress con elevate radiazioni, che comprendono modelli atmosferici come le calme equatoriali con poco vento, e da pochi fattori che riducono questo stress, come la variabilità della temperatura e l’ampiezza delle maree. In questo gruppo vengono ricompresi anche le barriere del Medio Oriente e dell’Australia occidentale, perché le due zone raggiungono entrambe punteggi alti nel rafforzamento di un certo numero di fattori di stress, come il fitoplancton e la sedimentazione.
Il secondo gruppo include invece regioni con livelli di esposizione allo stress da moderati ad alti, oltre ad alti livelli di fattori che riducono lo stress, tra cui la variabilità della temperatura e le grandi ampiezze di marea: la Grande barriera corallina, il Pacifico centrale, la Polinesia, l’Oceano Indiano occidentale e i Caraibi. Tim McClanahan, ambientalista senior alla WCS e capo del programma di ricerca ha spiegato:
“Quando lo stress da radiazione e la pesca intensa si combinano, le barriere hanno scarse possibilità di sopravvivere a disturbi causati da cambiamenti climatici, poiché questi due fattori agiscono entrambi contro la sopravvivenza dei coralli che sono le fondamenta dell’ecosistema della barriera corallina”
Lo studio in questione fornisce ai responsabili dei parchi marini e degli ecosistemi tutelati un piano per gestire spazialmente l’efficacia dei metodi di conservazione e la sostenibilità: in base a queste informazioni, infatti, si possono creare strumenti per il rimboschimento del bacino idrografico costiero, migliorare le pratiche agricole e definire meglio le restrizioni sulla pesca.
“Queste informazioni –ha concluso McClanahan- ci aiuteranno a elaborare strategie più efficaci per proteggere i coralli dai cambiamenti climatici e porteranno a una migliore gestione dei sistemi delle barriere a livello globale”
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