Poco distante da Viterbo, tra Lazio e Umbria, c’è un luogo tra l’incantato e il mostruoso, un parco fuori dal tempo e dallo spazio: il “bosco sacro” di Bomarzo. A volere questo luogo fu il principe Pier Francesco Orsini a metà del ‘500. Rispetto ai canoni dei giardini all’italiana, fatti di proporzioni regolari e giochi prospettici, il bosco sacro è all’opposto. L’architetto Pirro Ligorio ha sfruttato la naturale disposizione di enormi blocchi di piperino per dar vita alla fantasia del principe Orsini. Le sirene qui convivono con gli orsi, con un elefante, un drago, un orco, eroi della classicità in lotta e altri animali reali o mitologici, in maniera quasi disordinata, contribuendo allo stupore di chi vi passeggia.
Per alcuni la villa delle meraviglie è un percorso esoterico iniziatico. È, infatti, disseminato di iscrizioni, molte leggibili solo parzialmente, che lo rendono misterioso e ulteriormente affascinante. Così sotto le due sfingi a guardie dell’ingresso leggiamo: “Chi con ciglia inarcate et labra strette non va per questo loco manco ammira le favolose del mondo moli sette” e “tu ch’entri qua pon mente parte a parte et dimmi poi se tante maraviglie sien fatte per inganno o pur per arte”. Quest’ultimo interrogativo è destinato a rimanere tale; infatti è innegabile che il parco sia disseminato di simboli che, volendo possono avere le interpretazioni più varie. Vero è anche che statue e incisioni probabilmente avevano il solo scopo di stupire e mostrare una concentrazione di opere d’arte unica al mondo.
Non tutte le iscrizioni sembrano avere significati nascosti, alcune hanno più l’apparenza di spot turistici ante litteram. Ad esempio, nelle vicinanze della gigantesca scultura che mostra Ercole in lotta con Caco, leggiamo: “se Rodi altier già fu del suo colosso pur di quest il mio bosco anco si gloria e per più non poter fo quant io posso”. Mentre più all’interno del bosco, sulla parete dietro a una panca di pietra è scritto: “voi che pel mondo gite errando vaghi di veder maraviglie alte et stupende venite qua dove son faccie horrende elefanti leoni orsi orchi et draghi”. Questa dicotomia di messaggi di volta in volta celebrativi del luogo e legati, almeno in apparenza, a significati nascosti, unita all’insieme di personaggi della mitologia classica come le sfingi greche e di sculture legate al mondo cristiano, lascia spaesato il visitatore.
Si tratta comunque di uno spaesamento piacevole, che allontana per qualche ora dagli impegni che pressano tutti, permettendo di concretizzare le parole incise sulla bocca dell’orco “ogni pensiero vola”.
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