Le pietre monumentali, dal Principio, hanno educato l’uomo all’idea di verità, resa accessibile dal loro impiego.
Ognuno di noi possiede ancora una preistoria: l’uomo e la Pietra hanno un rapporto che li lega per tutta la vita, una sorta di “confidenza storica”.
Scrivere del cavare o sull’abitare la roccia non significa interpretare ma dar parole ai luoghi fossili, agli spazi tufacei, per sentirli come testimonianze, ancora oggi presenti e conviventi, di civiltà lontane, che continuano ad esser vive.
Molti paesaggi fanno parte del nostro inconscio, li crediamo parte del nostro immaginario, per cui fantastichiamo, spaziamo orizzonti, spingendoci in molti racconti orientali e occidentali; finché, viaggiando, non confermiamo le nostre allucinazioni: nelle migliori delle ipotesi, a est dell’Eufrate, sui Sassi della Cappadocia:pietre turche.
Luoghi fossili che sono diventati materia romanzesca, anche se sono davvero esistiti; così un personaggio reale, poi romanzato da Maurice Leblanc, era stato Arsène Lupin, protagonista nella guglia di Etretat in Normandia, immaginandola cava, dove al suo interno, ricco di tutti i tesori dei Re di Francia, il ladro gentiluomo pianificasse il dominio del mondo.
E quando non sono esistiti? Alcuni di questi luoghi, spesso per ragione di interesse, prima culturale, poi commerciale, sono stati ricostruiti; si pensa alla cella del Conte di Montecristo (voluta) nel Castello d’If (esistente).
Tuttavia, oltre ogni realtà e immaginazione umana, la roccia (e ogni sua crepa) custodisce segreti. Silenzi che, con la materia, continuano a sopravvivere o che con lei muoiono (crepano).
Non si può lasciare senza teoria ciò che non offre nessuna soddisfazione allo spirito. Una teoria a quel sentimento che poneva la Pietra al centro del vivere in comune c’è: quella coabitativa dei Siculi e dei Greci sui colli di Leontini. Un’anomala colonia greca della Sicilia, posta nell’entroterra tra le prime, che ebbe il cavare e il costruire con la pietra diversi scopi: il vivere e il morire.
La teoria raggiunge il suo zenit a Mater(a), esito paradossale per una città complessa come la precedente. Esempio di confine, di contrasti e di fusione; la bellezza di questi aggettivi non trova alcun limite.
Oltre alla Città dei Sassi, che è la più alta vocazione del nostro tempo, il rimpianto va a quei luoghi, tra i tanti, modificati dalla trascuratezza moderna per la Pietra. Gli “spregiatori delle origini” sostituiranno i vecchi “atei dell’architettura”, come se non fosse per effectus sui.
Pietra è anche istinto. La solitudine della catastrofe si porta addosso una riprovazione che viene da lontano: il sisma del 1693 nel Val di Noto diede vita al prosperoso tardo Barocco. Ciò che si maschera da impulso sociale e in nome di esso dà lezioni, è un irrefrenabile impulso all’unità.
Giardini di pietra; blocchi rinvenuti e riutilizzati. È il canto della tenerezza di una materia che non ha vita, né morte ma trasformazione.
Ripensando a certi Autori classici e Trattatisti moderni, a proposito dell’impiego delle rocce come materiali da costruzione e come materiali ornamentali..
– “Resta da considerare la natura delle pietre, nelle quali la follia dei costumi umani si esplica più che altrove (..) Noi invece tagliamo a pezzi montagne che un tempo furono oggetto di meraviglia anche solo valicare. I nostri avi considerarono quasi un prodigio che le Alpi fossero state attraversate da Annibale, e più tardi dai Cimbri, ora questi stessi monti vengono fatti a pezzi per ricavarne marmi delle specie più varie.”
Plinio Storia naturale (libro XXXVI capitolo 1)
– “Non è fuor di luogo aver un’idea di quanto varie e sorprendenti siano le qualità delle pietre, in modo da potersene servire ai diversi fini cha a ciascuna competono nella maniera più appropriata.”
Leon Battista Alberti Dell’architettura, 1485 (libro II, capitolo 9)
– “Per pietre da decorazione comunemente s’intendono quelle che a cagione de’ bei colori, delle belle forme delle macchie, e della lucentezza che prendono sono buone da ornare gli edificj, ma che peraltro si trovano in grandi massi, onde formare statue, colonne, tazze, vasche ed ornati di architettura (..). Gli scarpellini dividono le pietre da decorazione in due classi, cioè in tenere e in dure. Le calcari, le argille, le serpentine, i gessi, gli spati e le ardesie che facilmente si tagliano chiamansi tenere: le basalti, i porfidi, i graniti ed i così detti serpentini (porfidi verdi dei mineralogi) chiamansi dure, perché si tagliano con difficoltà.”
Faustino Corsi Delle pietre antiche, 1845 (parte II)
Tutta la tematica dell’affettività dei luoghi di pietra entra in crisi, oggi che non si pensa più al paesaggio.
L’ateismo italiano non dovrebbe piuttosto disertare i fenomeni di cui ha fatto parte fino al secolo scorso? È questo il trauma della causa che si sostiene.
Bisognerebbe annientare l’orrore della nascita, il disgusto per il principio; amando l’eredità dei padri.
Non c’è amore più grande di quello materno, da paragonarsi a quello che la materia riesce a dare all’umanità. L’idea di una comune origine richiama quella lepidezza secondo la quale tutti gli uomini sarebbero fratelli.
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