Sono solo dieci, ma inquinano come fossero una nazione: sono i big dell’industria alimentare che, a causa delle emissioni nocive che immettono in atmosfera ogni anno, contribuiscono a peggiorare il riscaldamento globale.
La ricerca, stilata dall’Ong Oxfam, è stata redatta grazie a una pagella che viene aggiornata periodicamente: i dieci giganti dell’alimentazione producono ogni anno 263,7 milioni di tonnellate di gas serra, pari alle emissioni congiunte di Svezia, Finlandia, Danimarca, Norvegia e Islanda.
Secondo il rapporto Standing on the Sidelines, che fa parte della campagna Behind the Brands, i top ten del cibo, se messi insieme, potrebbero formare la 25esima nazione al mondo per inquinamento: non si tratta solo di gas serra e inquinamento da fonti fossili, ma anche di contaminazione di terre e falde acquifere, uso massiccio di fertilizzanti, deforestazione e smaltimento irregolare di rifiuti.
Secondo i dati di Oxfam, circa la metà delle emissioni deriva dalla produzione di materie prime agricole destinate alla trasformazione: molte di queste non sono coperte dagli standard di produzione fissati dalle aziende per ridurre l’inquinamento.
Le aziende e il green washing. La regina è Kellogg’s: la multinazionale americana che produce cereali, biscotti e snacks. Nella stessa lista compaiono Associated British Foods, Coca-Cola, Danone, General Mills, Mars, Mondelez International, Nestlé, PepsiCo e Unilever.
Secondo Oxfam, queste dieci aziende:
“Non riescono ad utilizzare la loro esperienza, leadership e potere per trasformare la propria industria e spingere ad un’azione per il clima di cui il mondo ha bisogno”.
Ma spesso, le multinazionali in questione, hanno dichiarato obiettivi ambiziosi, rispetto alla riduzione dell’impatto delle proprie attività produttive: il così detto green washing. Perché, se alcune di queste come Unilever si stanno impegnando nel perseguire gli obiettivi dichiarati, sono le imprese da cui si riforniscono che violano costantemente le norme ambientali.
In particolare Kellogg’s e General Mills, che vengono accusate da Oxfam di “continuare a tollerare nella propria catena di approvvigionamento massicci tassi di deforestazione”.
I casi più gravi documentati, infatti, riguardano un’azienda che fornisce olio di palma alle due multinazionali: un’impresa che, secondo il rapporto, sarebbe responsabile di incendi boschivi che hanno prodotto gas serra pari alle emissioni annuali di 10,3 milioni di automobili.
Le conseguenze. Le conseguenze di una catena produttiva del genere sono devastanti: le fonti fossili, l’uso di fertilizzanti, la deforestazione, la manipolazione della produzione di materie prime impoveriscono i terreni, inquinano aria e falde acquifere, causando danni incalcolabili all’ambiente e la crescita esponenziale della povertà.
Secondo Oxfam, per incidere davvero e attenuare i gravi danni causati, le aziende in questione dovrebbero tagliare le loro emissioni di 80 milioni di tonnellate entro il 2020 .
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