Micheal Reynold è un architetto americano che ha un chiodo fisso: costruire case con la spazzatura. Ormai famoso per le Earthship, combatte per un’idea alternativa di edilizia urbana fin dal 1969: ha dovuto affrontare, da un lato, i limiti e la lentezza della ricerca, dall’altro gli interessi locali e nazionali legati all’industria dell’edilizia. Ma alla fine, è riuscito a far emergere il suo modello abitativo, dopo il disastro provocato dallo tsunami in Indonesia nel 2004.
Lo chiamano l’architetto della spazzatura e a lui sta bene: progetta case con materiali di riciclo come bottiglie, plastica di vario tipo, copertoni e molto altro. Ma l’obiettivo non solo recuperare rifiuti, minimizzando l’impatto della costruzione, ma anche rendere indipendenti le case dal punto di vista energetico, azzerandone di fatto l’impatto. Oltre ad essere completamente autonome, le case di Reynold sono anche poco costose. Eppure i progetti di Micheal Reynold sono stati spesso affossati per diversi motivi: fino allo tsunami che ha devastato l’Indonesia. In quel caso, infatti, le Earthship, per la precisione il modello Phoenix.
Tutto inizia nel 1969, ma è nel 1972 che Reynold realizza la prima casa ecosostenibile, fatta di uno speciale impasto di terra combinato con lattine di birra, alluminio, pneumatici usati, vetro di diverso tipo: Thumb House. Reynold crea una comunità di collaboratori che credono nella validità delle sue proposte: nasce l’idea dell’architettura Biotecture, come lo stesso Reynold l’ha battezzata.
Dopo alcuni anni di ricerca e sperimentazione, Reynold e i suoi riescono a fondare una comunità ecosostenibile nel New Mexico: Taos. Il piano di sviluppo prevedeva 130 case in pieno deserto, in parte realizzate, costruite con materiali di scarto, con di facciata vetro affacciata a sud per massimizzare il calore e la luce del sole. Le Earthship iniziarono a prendere forma: autonome anche dal punto di vista delle acque e del riscaldamento, iniziano a spopolare anche fra gli attori famosi. Le Navi della Terra, spuntano fra le dune come onde e sono realizzate per avere uno scambio continuo con l’ambiente circostante.
Ma il progetto è sperimentale e le Earthship presentano problemi di vario tipo: la comunità presto di disgrega e Reynold rimane imbrigliato in una serie di cause legali avviate dagli inquilini della comunità. Il gruppo rimasto decide di agire anche sul piano politico: Reynold e i suoi propongono un disegno di legge che permetta questo tipo di costruzioni, disegno di legge che viene poi bocciato. Il Consiglio di Stato degli Architetti del New Mexico, interpellato, decide che le sue case sono illegali e non hanno i requisiti di sicurezza richiesti dalla legge e decidono di togliere a Michael Reynolds il titolo di architetto e le licenze di costruzione.
Passano 17 anni dall’esperimento in New Mexico e Micheal Reynold, che non si è mai dato per vinto, è riuscito a riottenere il titolo e le licenze. Non solo: i suoi progetti vengono chiamati in causa per rispondere all’emergenza seguita allo tsunami del 2004 in Indonesia. E’ un gruppo di architetti delle zone colpite a chiamarli: chiedono aiuto al gruppo per i 7.000 sopravvissuti.
Grazie all’aiuto dato dalla popolazione, gli architetti di Reynold riescono a dare un’abitazione a tutti, sfruttando il materiale rimasto dopo il disastro: una quantità di rifiuti immensa. Da bambú, cemento, terra, pneumatici, bottiglie di vetro e plastica, nasce così la casa Phoenix: è in grado di resistere alle onde dello tsunami grazie alla sua forma e anche ad un eventuale terremoto fino al nono grado della scala Richter.
La particolare forma permette di accumulare il calore durante l’inverno sfruttando al massimo i raggi del sole: d’estate invece, grazie ad un sistema di ventilazione che permette la traspirazione, rimangono fresche. L’acqua piovana viene raccolta, depurata e usata per le necessità dell’orto integrato nell’abitazione, mentre le acque reflue sono gestite autonomamente da ogni inquilino, che le ricicla due volte sfruttandole per le piante.
Le acque grigie usate per innaffiare le piante dell’orto interne vengono raccolte una seconda volta e usate per lo sciacquone: dopo di ciò vengono nuovamente raccolte e usate per le piante esterne, riutilizzandole per la terza volta. L’orto è stato pensato proprio per rimettere in moto una comunità che aveva perso tutto: in questo modo si garantiva un pezzo di terreno coltivabile per tutti.
In una situazione d’emergenza come quella che segue uno tsunami, un tipo di intervento del genere comporta due aspetti positivi: un ripensamento del modo di “abitare” l’ambiente” e un rimescolamento delle relazioni sociali di chi lo abita, anche solo con il concetto di “riuso” di un oggetto già utilizzato da altri.
Il concetto di casa di Micheal Reynold è potenzialmente rivoluzionario, non solo perché ripensa il nostro modo di abitare i luoghi, ma perché gli interessi che tocca sono parecchi. Le società elettriche e i grandi gruppi dell’edilizia hanno degli evidenti svantaggi dalla costruzione di questo tipo di case: anche per questo i visionari come Reynold vengono spesso fermati dalle leggi locali che favoriscono questi interessi.
Ma l’esperimento dell’Indonesia dimostra che questo tipo di costruzioni non sono solo possibili, ma anche auspicabili: se non si vuole constatare il peso della riduzione dell’impatto sull’ambiente, si deve per forza considerarne la sicurezza. Credere nelle costruzioni a impatto zero diventa sempre più importante: non solo in virtù di una scarsità di risorse energetiche, ma anche perché gli stessi eventi naturali ci indicano che un ripensamento del modo di abitare è inevitabile.
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