Dopo che lo zio Terry ci fece spaventare con il suo ritorno, capimmo che qualcosa stava succedendo.
Non eravamo più nel 21esimo secolo.
Come in un film sembrava fossimo stati catapultati in un’ epoca passata.
Tutto innevato. Senza luce, nè termosifoni, nè acqua.
Tutto semplicemente bianco.
Poi venne sera, il bianco divenne nero, le fiammelle delle candele non riuscivano ad illuminare il buio.
Rantolii.. borbottii.. la terra si preparava per la notte.
7 del mattino.
Mi svegliai che sembrava sera. Le persiane non si aprivano.
Un metro e mezzo di neve.
Terzo giorno senza corrente. Terzo giorno nella preistoria.
Il tempo sembrava si fosse fermato. Era un’ illusione spazzata via dai cinquanta centimetri di neve aggiunti nella notte.
Una radiolina a pile ci teneva in connessione con il mondo :”stasera un’ora di liscio qui su radio Ciao”
Quella sera due candeline si aggiunsero a fare luce. Era il mio compleanno. 23 anni sotto zero.
La situazione diventava sempre più fredda, ma il focolare continuava a donare il suo calore. Il camino non smetteva di ardere. Ancor più vivo bruciava la sua legna, messa al riparo previdentemente nei giorni passati. Ma non c’era solo lui a tener caldi. Il focolare era fatto anche dall’affetto e dalle mani amorevoli dei miei genitori che imbandirono una festa svuota freezer
“Dobbiamo festeggiare, qui qualcuno diventa vecchia!” disse mia madre, tirando dal congelatore le provviste ormai da consumare.
Così perdemmo un congelatore. Un anno di lavoro, sacrificio, cura e costanza.
Improvvisamente la festa privata venne interrotta da rumori meccanici. Impossibile! Ricordavano macchine della nostra era. Era arrivata la turbina. La prigionia stava per finire.
Neve
Iniziava un altro giorno.
Ma questo non era come quelli passati. Avevamo la speranza di uscire e fare rifornimenti di candele, generatore e beni primari.
Spaliamo, spaliamo, spaliamo
Troppa
Troppa per quattro braccia, troppa anche per sei .
Eravamo sempre in trappola.
Cellulari senza campo, ancora senza corrente, ancora senza termosifoni.
“pirulì”
“pirulì”
“pirulì”
Un suono a cui uno non era più abituato. Era il cellulare della mamma il più arcaico rispetto ai nostri, aveva resistito al cataclisma. Così si riaccese la speranza. Chiamai Michela “arrivo!”
Le braccia divennero otto, il muro divenne muretto e poi trincea.
Si liberò la macchina, ma quando ci riconnettemmo con il mondo capimmo che la reclusione non era stata poi tanto un male.
Ci serviva un generatore, prezzi assurdi per salvare il proprio lavoro. Così la benzina, ben fornita in un punto, a secco in un altro. I rincari erano sottolineati dall’esigenza. Ma è così che si diventa ricchi, sulla sfortuna altrui.
Ritorniamo sul nostro cucuzzolo.
“questo che è accaduto è tutta memoria. Da qui si può solo imparare
Anna Marino