Il mio amico Gaetano Mura, per cui curo l’ufficio stampa e la comunicazione, ha navigato per l’Oceano e il Mediterraneo in condizioni estreme (un mese da solo in un guscio di noce di 6 metri, dalla Francia al Brasile, senza nessuna possibilità di comunicazione); ma naviga anche con le parole e le idee. Rotte decisamente più slow rispetto alle regate, dove la competizione è (giustamente) elemento essenziale.
L’ultimo scritto è una sorta di reportage (ma con un substrato filosofico, viste le riflessioni sul tempo e il senso della vita) a bordo di un rimorchiatore rugginoso (non arrugginito, termine che rende meno), che galleggia nel Sud della Sardegna grazie ad Antonello, un personaggio tutto da scoprire, grazie al racconto di Gaetano: “È anche per questo che mi piace il mondo”. Di seguito, il suo racconto:
“Luoghi abbandonati” e apparentemente tristi hanno dentro la magia della vita.

Gaetano Mura davanti al rimorchiatore “Capo Ferrato”
C’è chi se ne infischia del tempo, dei tempi, di ciò che si deve o non si deve fare. Come Antonello, a bordo del suo Capo Ferrato, rimorchiatore in stato avanzato di decomposizione, al quale ha concesso un’altra opportunità, forse l’ultima, chi lo sa, della sua carriera di protettore di vascelli.
Lo ha incagliato davanti al suo porticciolo, a mo’ di frangiflutti per spezzare la risacca, con la prua verso l’imboccatura principale. Così incagliato e privo del rollio, sembra starsene lì come un vecchio marinaio appoggiato al suo bastone, con lo sguardo a contemplare il mare. La metastasi della ruggine ha aggredito i ponti, le paratie e lo scafo in modo irreversibile, almeno per la nostra limitata immaginazione, tanto da non lasciare spiragli alla sorte che pare ormai segnata. Eppure la sua anima é ancora ben viva; la sagoma possente e la prua fiera gli restituiscono tutta la dignità dei bei tempi.

Il moribondo rimorchiatore culla di idee e speranza
Mi basta socchiudere gli occhi per perdermi nella poesia e rivederlo mentre scapola Capo Teulada in una bianca sciroccata invernale, poi cascare imponente nel cavo di una grossa onda e aprirsi con prepotenza un varco in quella successiva. Merito dei masconi di quella prua testarda, che frange in un impatto di schiuma bianca, la quale, scavalcata l’impavesata dalla falchetta, si precipita giù per i ponti inclinati, gorgogliando sull’ostacolo degli scalmotti e ritrovando la libertà con un fiotto dalle grandi aperture degli ombrinali.

Antonello mostra la planimetria ai suoi ospiti
Antonello stende sul tavolo rugginoso le carte delle planimetrie, incrociando i nostri sguardi con i suoi occhi azzurri, come chi sta per svelare, da un momento all’altro, la mappa del tesoro. Il suo tesoro. Parla, solcando con le parole la sua lunga barba bianca, e condivide sogni, progetti, interventi: “Questa paratia si taglia e si ricava un grande locale, qui si fa un’ apertura che porterà alle cabine, qui l’ufficio del club”. Ma il segreto sta sotto.
Afferrata una torcia, ci fa segno di sollevare un pesante passo d’uomo già sbullonato e alla luce della lampada portatile compare un enorme serbatoio colmo d’ acqua cristallina, un tempo zavorra liquida per il dislocamento della nave, così limpida da lasciare intravedere i chiodi ribattuti delle lamiere dello scafo. Sono evidenti i punti deboli dai quali un giorno, non troppo lontano, quell’ acqua si ricongiungerà a quella di mare.

Dentro il rimorchiatore
Antonello continua per la sua rotta e navigazione: qui ci sarà una grossa sala espositiva, un vero e proprio museo. Le nostre menti razionali fanno i rapidi conti sullo stato della nave e sulla sua barba bianca ma ad Antonello non importa, a lui non interessa. Il suo sguardo intelligente ha la fragranza della spensieratezza giovanile. Questo singolo giorno ha il valore di una vita e nella bellezza della sua immaginazione il tempo ritrova la sua libertà e deve rendere conto solo a se stesso. C’ é qualcuno che non si cura del tempo o forse ne ha la massima cura.
Mentre ci allontaniamo, saluta impettito, ostinato come il Capitano Achab sulla sua baleniera, e con le mani sulla falchetta richiama all’ ordine i suoi quattro cani che lo aspettano sul pontile: devono lasciar passare indisturbati i graditi ospiti.

Antonello
E ancora, a distanza, parlando a voce alta, disegna sulla coperta e con le mani un rettangolo, per mostrarci la grande apertura che farà sul ponte e sulla quale verrà posizionato un grosso vetro trasparente, di modo che l’occhio possa arrivare ad ammirare dal di fuori, sino alle viscere della nave dove è posizionato, l’enorme motore a otto cilindri lineari. Una bellissima macchina pulsante. L’unica cosa che a bordo si è mantenuta in perfette condizioni e nei tempi di gloria si faceva carico di trasmettere la propulsione alla grande elica, perché potesse avvitarsi instancabile nell’acqua, come la vite nella sua madrevite. Una sala espositiva, ripete Antonello, perché si possa ammirare questa meraviglia.
Ci allontaniamo dicendoci che anche il nostro eterno vagabondare, la nostra passione per i luoghi rugginosi della vita, ci fa sembrare tutto questo normale. Anzi, no. C’ é lo fa credere meravigliosamente straordinario.
Gaetano Mura
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