La vita di un artista viene spesso raccontata attraverso le sue opere, pittoriche o scultoree, o attraverso l’ambiente in cui, assorto nei suoi pensieri e nella sua vena creativa, le realizzava. Ed è questa la sensazione che si ha appena si varca la soglia del Museo Ugo Guidi di Forte dei Marmi. Interamente dedicato all’opera di Ugo Guidi (1912 – 1977), uno dei più grandi scultori del Novecento in Italia, questo museo è stato allestito in quella che un tempo fu la casa in cui l’artista visse e lavorò; addirittura, in un ambiente sono ancora conservati i suoi strumenti di lavoro. E forse anche nella stessa posizione in cui lui li riponeva una volta terminata un’opera!
Un giardinetto ci introduce in un ambiente carico di sensazioni e vita; la vita di un uomo che dedicò l’esistenza alla sua famiglia, con la quale qui viveva, e alla sua attività artistica, tanto da rendere la casa e il giardino un punto di incontro di molti artisti suoi contemporanei; una chiacchierata tra amici che spesso si trasformava in una sorta di “salotto” artistico. Un luogo, quindi, di vita, di speranza, di creatività, che ancora oggi emana le più varie sensazioni. Potremmo dire, infatti, che questo museo è un racconto di emozioni e sentimenti: amore, angoscia, dolcezza, tristezza, forza, espressi attraverso le numerose opere esposte (in realtà, qui è presente circa metà della produzione dell’artista, poiché le altre opere sono ospitate in gallerie, musei e collezioni. Una cosa che vi stupirà moltissimo).
Il percorso museale segue un ordine cronologico ma riesce anche a sviluppare per temi la produzione di Ugo Guidi. Si inizia dunque dalle opere degli anni Quaranta e Cinquanta, quelle più vicine al figurativismo, che si concentrano sui temi del lavoro e della natura: questa fase della carriera di Ugo Guidi abbonda pertanto di opere come il Maialino (1944), la Capretta (1942) e il ciclo dei mestieri (1954), che ci restituiscono la realtà di una Versilia, terra d’origine dell’artista, dalla quale raramente si allontanò, che ancora non conosceva le luci del turismo e della bella vita e viveva in una dimensione fatta di lavoro tradizionale (e faticoso) e contatto con la natura.
Spesso, infatti, la Versilia – e in particolare Forte dei Marmi – fa venire in mente i locali e le discoteche che animano la vita notturna o le numerose boutique che rendono la città metà di shopping sfrenato per russi o per ricconi e vip; oppure si pensa alle spiagge affollate della stagione estiva. Ma la Versilia non è solo questo: è una terra che ha avuto grandi artisti, che avevano un profondo legame con il loro territorio e che ci hanno lasciato testimonianze eterne; la memoria, che non finirà mai, è la ricompensa per tutto l’amore che questi artisti hanno messo nel proprio lavoro.
Salendo al piano superiore, iniziamo a familiarizzare con la ritrattistica, che trae notevoli spunti dall’arte etrusca, che Ugo Guidi studiò a lungo (la sua arte fu sempre in rapporto con il passato): visi di bambini, di donne e di uomini che sembra ci guardino e che ci comunicano tuttora sentimenti diversi, che è bello provare a riconoscere attraverso i loro occhi. Non possiamo non soffermarci inoltre di fronte alle opere religiose: piccoli crocifissi e natività (come quella del 1956), che si legano in modo indissolubile alla grande storia dell’arte italiana: Pisa e i suoi capolavori gotici, del resto, sono a pochi chilometri da qui.
Altro tema spesso affrontato dall’artista è lo sport, su cui Ugo Guidi tornò con particolare insistenza negli anni Sessanta. Ciclisti, calciatori (lo scultore, malgrado le sue origini versiliesi, era tifoso del Bologna), ginnasti e ballerine ci ricordano che lo sport è soprattutto fatica, impegno e sacrificio, tre qualità indispensabili per arrivare al successo. Opere che trasmettono una grande forza d’animo e che ci sembrano comunicare che non bisogna mai arrendersi e smettere di credere nelle proprie capacità.
Vediamo molte espressioni di vittoria, come il Cavallo vincitore del 1969, copia dell’omonima opera di Ugo Guidi, conservata al Museo dello Sport di Barcellona. O i Vincitori, del 1976, ultima opera dell’artista: dedicata agli atleti vincitori delle Olimpiadi di Montreal, può essere vista anche come un testamento ideale di Ugo Guidi, che abbandona la scultura pochi mesi prima della sua scomparsa; è un’opera simbolo degli ostacoli che l’artista ha dovuto superare per ottenere riconoscimenti e prestigio. Nelle forme, richiama le Figure Totem, un’invenzione di Ugo Guidi, di cui, all’interno del museo, sono presenti diversi esempi: sculture astratte ma che rimandano sempre alla realtà (un occhio, una bocca, un volto). Come per gli indiani d’America il totem era un simbolo d’identità, per Guidi diventa simbolo delle sue ricerche artistiche, volte a cogliere l’essenzialità del soggetto raffigurato, in continuità con una tradizione antichissima, a cui lo scultore si sente legato.
La quotidianità dell’artista è invece rappresentata dalle numerose sculture che rappresentano familiari (come i figli) o amici, senza dimenticare il tema della maternità, affrontato diverse volte: la donna è sempre al centro dell’universo di Ugo Guidi e, in particolare, lo è la figura materna che si accarezza il grembo: un gesto di amore, di affetto e di dolcezza che accomuna tutte le future mamme.
E come non parlare dei disegni? Disegni da scultore, costituiti da segni rapidi e grossolani ma che, con pochi tratti, riescono a dare un’idea profonda del soggetto. Questi disegni riescono a far provare forti emozioni quando si giunge nell’ultima sala, dove troviamo la serie del Grido: Ugo Guidi, alla fine della sua esistenza, lascia all’arte il compito di testimoniare con volti contorti e urlanti la propria sofferenza e il proprio dolore.
Sono opere connesse alla drammaticità, all’angoscia, alla paura: bocche spalancate che urlano al mondo intero, occhi grandissimi quasi come per chiedere aiuto. Disegni che hanno come filo conduttore la consapevolezza di essere vicino alla fine della propria esistenza, come possiamo notare anche da una figura totem molto significativa (Figura ferita, 1974): un blocco di pietra attraversato da un rivolo di sangue.
Oggi il Museo Ugo Guidi è diretto con passione e tenacia da uno dei due figli dell’artista, Vittorio Guidi, che è riuscito a rendere il museo una delle realtà culturali più attive del territorio, con mostre di artisti contemporanei – siano essi giovani emergenti o artisti quotati -, che vengono organizzate ogni mese. In questi giorni, per esempio, si sta svolgendo al museo la mostra “Due Teste, Quattro Mani, Un Cuore” di due validi e affermati artisti internazionali, Nicolas Bertoux e Cynthia Sah: inaugurata in occasione del giorno di San Valentino, cuori e figure concave a rappresentare la pace interiore o la complementarità e l’armonia tra due persone hanno invaso straordinariamente la casa-museo.
Se passate da queste parti, quindi, ricordatevi di dedicare un po’ del vostro tempo alla visita di questo museo, dove la vita e la passione di un artista legato al suo territorio e ai suoi affetti continuano a esistere!
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