I giovani in prima fila per discutere, con proposte concrete, dello stato di salute del giornalismo italiano: succede a Napoli, città che ha accolto i giornalisti under 35 per la seconda edizione del Youth Media Days.
Dopo il successo della prima edizione, che ha visto 800 giovani giornalisti iscritti alle conferenze, il Festival del Giornalismo Giovane, organizzato al Palazzo delle Arti di Napoli dal 20 al 22 Settembre 2013, ha l’obiettivo di far discutere le nuove generazioni di giornalisti su temi e problemi della professione, formulando proposte e idee concrete per superare le difficoltà d’accesso ad un sistema ormai vecchio, rigido e cieco di fronte ai cambiamenti che le innovazioni impongono.
Nuove figure, nuove competenze e nuove professionalità: per migliorare il sistema giornalistico italiano è necessario ascoltare bisogni e domande chi cerca di accedervi o di chi, magari dai banchi di scuola, sogna di fare questo lavoro. Ed è proprio questo che cerca di fare il Festival del Giornalismo Giovane: dare voce a chi ha proposte concrete da sviluppare.
Organizzato al Palazzo delle Arti di Napoli da Youth Press Italia, quest’anno ha visto un aumento della partecipazione, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Il programma è ricchissimo di dibattiti e ospiti: Si parla di precarietà e mancanza di lavoro, di raccordo con l’Europa del giornalismo, delle competenze e delle nuove professionalità, di giornalismo e integrazione, delle difficoltà che le donne hanno nell’accesso alla professione, di equo compenso.
Decisivo per l’edizione di quest’anno è il tema della sostenibilità, messo in pratica da organizzatori e partecipanti attraverso azioni concrete: riduzione al minimo dell’impatto dato dalle attività e dal flusso dei partecipanti. Non solo: un’azione di Guerrilla Gardening ha restituito, nella prima giornata del festival, la Scalinata monumentale di Monetesanto, regalando al quartiere un orto urbano.
Dopo la due giorni di Napoli, il Daily Slow ha parlato con Simone D’Antonio, presidente di Youth Press Italia insieme a Michele Giustiniano, e organizzatore del festival.
Il festival è ormai giunto alla sua seconda edizione, si può tracciare un primo bilancio di questa esperienza?
“Siamo molto contenti dei risultati, non solo per quanto riguarda l’affluenza, ma in particolare per la concretezza che quest’anno siamo riusciti a dare ai dibattiti del festival. Durante la prima edizione, infatti, avevamo lanciato delle idee da sviluppare, idee che sono state analizzate durante l’anno: sono arrivate proposte concrete su temi specifici, dibattiti che hanno fornito informazioni essenziali ai giovani giornalisti o a chi aspira a fare questo mestiere, spunti e bozze di soluzioni per problemi che ci troviamo ad affrontare”.
Ci fai un esempio?
“I workshop sulle start up, con tutto quello che c’è da sapere anche dal punto di vista non strettamente giornalistico, quello su infografiche e data journalism, il laboratorio su comunicazione e integrazione degli immigrati o, ancora, dibattiti su come affrontare dei problemi legati alla precarietà: tutto quello che i nostri colleghi senior, per una serie di motivi, spesso danno per scontato. La logica è quella dell’innovazione: specializzarsi, essere intraprendente, acquisire competenze anche grazie alla collaborazione fra giovani colleghi”
Uno degli elementi chiave del festival è lo sviluppo di idee “dal basso” per una professione che è costantemente in evoluzione. Spesso in Italia, le parole “lavoro”, “formazione” e “innovazione” non vanno granché d’accordo.
“L’idea di fondo è che per migliorare il sistema, è necessaria una ristrutturazione sia a livello di contenuti e compenze, che sul piano normativo. Chi affronta ora l’accesso alla professione ha ben chiaro quali siano gli ostacoli, e spesso anche le storture, del nostro giornalismo: se non si da voce a questi soggetti, nessun miglioramento è possibile”
Come si portano avanti le proposte concrete che avete avanzato durante i dibattiti?
“L’essenziale è il raccordo con le istituzioni: non solo quelle locali, che hanno partecipato con entusiasmo, ma anche le istituzioni nazionali. Non a caso abbiamo invitato il sottosegretario all’Editoria Giovanni Legnini, che si è impegnato per noi a portare sul tavolo delle negoziazioni la proposta che riguarda l’introduzione della Youth Guarantee nel nostro settore”
In cosa consiste?
“Lo Youth Guarantee viene dal modello finlandese di accompagnamento dei giovani nel mondo del lavoro, ma ora i Paesi europei lo stanno gradualmente adottando, grazie alla spinta delle istituzioni comunitarie. Noi chiediamo che si possa applicare al nostro settore: in pratica, ad esempio, gli ordini regionali potrebbero essere trasformati in enti che erogano formazione personalizzata e consulenza ai giovani giornalisti, sulla base della domanda del sistema e alle competenze specifiche da sviluppare”
Una sorta di tutoraggio?
“Un tutoraggio attivo, che spinga il giovane a specializzarsi, acquisendo competenze anche distanti da quelle classiche del giornalismo tradizionale, ma che gli saranno preziose. C’è tutto un mondo di figure indefinite che ruota attorno al giornalismo: il social media manager, l’esperto di infografica, il web editor, il community manager e tanto altro. Queste figure necessitano di un inquadramento non solo dal punto di vista normativo, ma anche contenutistico”
Come può migliorare il sistema una proposta del genere?
“Innanzitutto darebbe responsabilità formative agli ordini regionali, funzione che, in questo momento, non hanno: una formazione specializzata e specifica, che permetta ai giovani di avere gli strumenti adatti ad affrontare le sfide che l’innovazione ci pone. In secondo luogo, ma non meno importante, preparando figure professionali specifiche si ridurrebbe quella massa di giornalisti che scrivono per 5 euro, puntando al tesserino da pubblicista, perché si allargherebbe lo spettro delle professioni possibili”
Si è parlato molto di precariato e accesso alla professione. Cosa dite ai giovani che vogliono assolutamente far parte di questo affascinante mondo?
“Noi abbiamo il dovere di essere chiari con chi partecipa ai nostri dibattiti: non si può negare che il mondo del giornalismo in Italia sia bloccato, che ci siano poche opportunità e poche tutele. Allo stesso tempo sappiamo bene che ci sono dei problemi superabili in modo graduale, come quello del turn over: giornalisti in età da pensione che prendono uno stipendio tale da sfamare almeno 3 giovani. Negare che la precarietà rende il lavoro giornalistico meno libero sarebbe da pazzi: non si può puntare al posto fisso nelle redazioni, ma chiudere gli occhi sulla crescente divaricazione e sperequazione fra tutelati e non tutelati”
Sono venute fuori risposte concrete in merito a questo?
“Sono state sviluppate proposte rispetto all’equo compenso, che è un problema fondamentale. O, ad esempio, si è parlato concretamente di sgravi fiscali, con numeri alla mano: tutte aree dov’è possibile e necessario intervenire, anche in modo graduale”.
Avete avuto tanti ospiti quest’anno?
“Si e ne andiamo fieri. Abbiamo avuto nomi importanti del settore come Simone Pieranni di China Files, Alessandra Mancuso di Giulia Associazione Giornaliste, Amalia De Simone del Corriere della Sera, Cecilia Anesi di Investigative Reporting Project Italy (IRPI) e Raffaella Cosentino di Redattore Sociale. E poi ancora tante realtà importanti come Yalla Italia o Report, con Emanuele Bellano e Luca Chianca che hanno raccontato cosa vuol dire fare giornalismo di inchiesta oggi in Italia. Abbiamo avuto Maarten Van Aalderen, Presidente dell’Associazione Stampa Estera e corrispondente del The Telegraaf e il sociologo Derrick De Kerckhove in collegamento da Nizza. Insomma chi più ne ha più ne metta…L’unica mancanza, vogliamo sottolinearlo, è venuta dalla Fieg”
Un’assenza importante…
“Si, descrittiva anche della poca disponibilità che c’è dall’alto a dar voce ai giovani precari. La Fieg ci aveva assicurato la partecipazione, ma poi non è venuto nessuno”.
Parliamo della sostenibilità, quest’anno diventata una parte importante del festival: non un’idea astratta ma azioni concrete.
“Si, siamo voluti partire dalle pratiche: riduzione dell’impatto significa innanzitutto evitare alcune cose e incentivarne altre. L’acqua in bottiglia, ad esempio, è stata ridotta al minimo:; abbiamo usato carta riciclata ed evitato gli sprechi attraverso le cartelle stampa e programmi visualizzabili direttamente dal cellulare, tramite quarcode. O, ancora, abbiamo spinto all’uso di strasporti pubblici per seguire i dibattiti, grazie anche al contributo dato dall’amministrazione e da varie associazioni”.
C’è stata anche un’azione di Guerrilla Gardening in un quartiere che ogni giorno affronta molti problemi.
“Si, l’azione è stata a Monsanto ed è andata molto bene: grazie al supporto di Quartieri Intelligenti e altre associazioni legate ai territori, siamo riusciti, in 40 circa, a ripulire le scalinate e costruire un piccolo orto urbano fatto di lavanda, rosmarino e altre piante aromatiche, facili da coltivare. Un’azione simbolica, certo, ma che in un quartiere del genere è molto importante: ambiente urbano e relazioni sociali che vi si instaurano possono essere influenzate, in maniera costruttiva, da un giornalismo giovane che tratti il recupero dei territori in un’ottica completamente ribaltata rispetto a quelle del passato”
Tag:giornalismo, giornalismo ambientale, guerrilla gardening, low impact, promozione ecosostenibile, sostenibilità, territorio