Piantare 10 mila alberi per compensare 12 mila tonnellate di CO2: è l’iniziativa di cui avevamo parlato nei mesi scorsi, protagonista il Gran Premio di Monza, Aci ed Ecostore. Il progetto era quello di ridare “aria” ad uno degli sport più inquinati al mondo, attraverso il meccanismo della compensazione. L’iniziativa era, o meglio avrebbe dovuto essere, un progetto “apripista”: un’inchiesta di Comune-info, infatti, ha approfondito la vicenda e scoperto che non è tutto oro quel che luccica.
Negli ultimi anni, la mutata sensibilità generale verso le questioni ambientali ha spinto aziende, società ed enti a lanciarsi in iniziative di vario tipo volte a ridurre le emissioni nocive, a contenere il proprio impatto o a tutela della biodiversità. Progetti validi e portati avanti con convinzione nella gran parte dei casi, dei semplici “fiori all’occhiello” per altri: perché, per qualificarsi come soggetto etico ed uscire dal girone infernale delle aziende menefreghiste e sfruttatrici, un’iniziativa a sostegno dell’ambiente paga. Fa curriculum.
Peccato che a così nobili cause corrispondano a volte scopi meno nobili: il rilancio di un evento in crisi, la possibilità di accedere a fondi e risorse dedicate, la copertura di azioni poco pregevoli. Qualsiasi sia stato lo scopo dell’iniziativa di Monza, Alberto Zoratti, giornalista esperto di questioni ambientali, ha scoperto che gli annunci fatti dagli organizzatori non corrispondevano a realtà.
“E’ successo per caso – spiega Alberto al Daily Slow – ho letto un tweet e mi sono incuriosito: la conferenza stampa aveva destato un grande interesse. Ho scritto all’ufficio stampa e la risposta che ho ottenuto mi ha incuriosito ancora di più”.
E così Alberto ha iniziato a chiedere, a telefonare e a scrivere: ottenendo poche risposte da Ecostore e ancor meno dall’Aci.
Il progetto. Ma cosa ha scoperto Alberto? Per prima cosa ha scoperto che sul progetto non si sa quasi nulla: non è noto dove saranno piantati gli alberi, quali tipologie e a quali altitudini, se la proporzione 10 mila alberi per 12 mila tonnellate abbia senso.
Partendo dall’inizio, per determinare in quali Paesi sarebbe avvenuta l’operazione di compensazione, con la piantumazione degli alberi, arriva già il primo problema: secondo quanto dichiarato durante la presentazione dell’iniziativa del 25 luglio scorso, le 12 mila tonnellate di CO2 sarebbero state compensate piantando 10 mila alberi in Alaska e Madagascar, in base gli standard del Protocollo di Kyoto.
Le operazioni di compensazione sono indubbiamente una bella cosa, ma per essere credibili, necessitano di alcuni requisiti: devono essere trasparenti, tracciabili e hanno bisogno di un accreditamento indipendente.
Alberto si è chiesto: di cosa si tratta? A quale progetto fanno capo? Secondo le risposte di Ecostore, l’iniziativa non fa parte del Clean Development Mechanism, come annunciato all’inizio, ma del Joint Implementation. Entrambi fanno parte dei meccanismi flessibili predisposti dal protocollo di Kyoto che permettono la compensazione delle emissioni di CO2 in un Paese con obblighi di mitigazione, Paesi chiamati Annex 1, attraverso il sostegno di progetti sostenibili e sono dedicati solo a quelle nazioni che hanno ratificato il protocollo.
Peccato che né Alaska né Madagascar facciano parte di questi insiemi: il primo non è firmatario del protocollo di Kyoto, il secondo non rientra nei Paesi Annex 1. E che, come se non bastasse, in Alaska non c’è traccia di accordi in tal senso: fra l’altro il Paese non ha neanche un registro dei carbon project.
“Quando ho avvertito che avrei scritto il pezzo – racconta Alberto – hanno immediatamente cambiato le informazioni sul sito, escludendo i due Paesi citati e scrivendo genericamente Paesi in Via di Sviluppo”
La seconda cosa da approfondire era la proporzione fra C02 compensata e alberi piantati: ha senso la cifra annunciata? Secondo Christopher Brandt, direttore esecutivo della Climate Concept Foundation, interpellato dal giornalista di Comune-info, è una cifra insensata. In Alaska, infatti, sarebbero troppo pochi per compensare 12 mila tonnellate, a causa del clima freddo che determina una crescita lenta e in Madagascar non sarebbe possibile compensare più di 6 tonnellate di CO2 per acro, per il motivo opposto.
A questo punto, quanti acri dovrebbero coprire gli alberi? Anche qui è impossibile determinarlo: non ci sono informazioni né sul tipo di albero da piantare, né sul contesto specifico, cosa che cambia di molto “l’efficienza” della piantumazione. In ogni caso, si legge sul sito di Comune-info, sono troppo pochi per pensare di compensare 12 mila tonnellate di CO2.
I partner del progetto. Il secondo capitolo affrontato è stato quello dei certificati di emissione: chi è l’intermediario finanziario del progetto e che curriculum ha.
“Nessuno mi ha saputo dare risposte esaurienti – spiega Alberto al Daily Slow – ho dovuto insistere parecchio per avere informazioni sulla banca di riferimento per l’acquisto dei certificati di emissione, VTB Capital4, un soggetto legato a VTB Bank”
A parte alcune dichiarazioni dei capi, non c’è alcuna traccia di attività ambientali portate avanti da VTB Bank. L’unica è la sua entrata nel Fondo GES, Global Environment Facility, uno dei fondi più sostanziosi al mondo, nato nel 1991 e capace di finanziare una miriade di progetti in materia di sostenibilità ambientale.
Ma anche qui le ricerche permettono di sapere che i punteggi di accreditamento della VTB Bank al Fondo GES sono particolari: in una scala da 1 a 5, è riuscita ad entrare con il punteggio di 3,05, dove il voto minimo medio è 3. Ed ha ricevuto punteggi molto bassi in due settori chiave per un progetto del genere e anche per l’entrata stessa nel fondo: nella categoria “Relevance for the GEF” ha ottenuto il punteggio 2.17, nella categoria “Demonstration of Environmental or Climate Change Adaptation Results” 1.84, mentre ottiene un bel 4 nella categoria che riguarda le risorse finanziarie e la capacità di supportare le iniziative muovendo capitali.
L’entrata nel GES della VTB Bank ha suscitato parecchie critiche da parte dell’ambientalismo internazionale: molte associazioni hanno infatti sottoscritto la lettera inviata il 3 settembre del 2012 con una lettera inviata al presidente del GEF.
Inoltre, chiedendo e spulciando, Alberto ha scoperto che: “Le Emission Reduction Units sono state cancellate per compensare il Gran Premio d’Italia provengono dal nostro portfolio di Emission reduction units dell’Ucraina”. In parole povere: i progetti di compensazione, di vario tipo, saranno sviluppati in Ucraina.
Ma le iniziative di Join Implementation in Ucraina sono state recentemente molto criticate: la stessa CAN, Climate Action Network, che raccoglie le principali associazioni ambientaliste nel mondo, ha criticato la corsa ai crediti di carbonio, gli Emission Reduction Units appunto. E’ molto improbabile, ha spiegato il CAN, “che questa improvvisa e gran quantità di crediti sia reale e addizionale”.
Insomma, un Paese che dal punto di vista della compensazioni delle emissioni ha qualche problema.
“Tutti i Paesi dell’ex area sovietica ne hanno – ci racconta Alberto – perché la transizione da un’economia basata sul carbone a una che contempla le rinnovabili è stata rapida e violenta. I sistemi di accreditamento di molti di questi Paesi non sono trasparenti e le regole sono poco chiare. Proprio l’Unione europea, di recente ha messo sul tavolo la questione del surplus dei crediti di carbonio, che spesso vengono venduti solo per battere cassa”
“Non tutti i progetti del genere fatti nell’Est Europa sono così – specifica Alberto – molti sono efficaci e trasparenti. Ma se decidi di scegliere un partner finanziario che opera in un Paese a rischio devi controllare tutto”
La questione del patrocinio. Ma i problemi non finiscono qui: sull’oscuro progetto di Ecostore e Aci ci sarebbe il patrocinio del ministero dell’Ambiente. In realtà, anche questa parte non del tutto corrispondente alla realtà: il ministero, secondo quanto ci racconta Alberto, non avrebbe patrocinato direttamente il progetto, ma solo l’evento in cui l’Aci presentava una serie di iniziative di stampo ambientale. Una bella differenza.
Insomma, più che un progetto di compensazione si tratterebbe di un bluff: peccato che pochi si siano accorti della cosa.
“Nessuno fra i media mainstream che avevano pubblicizzato l’iniziativa si è interessato alla cosa – ha detto Alberto – ho avuto contatti con molti blog, da siti di persone e associazione interessate, ma nessun quotidiano nazionale ha ripreso il problema indagando oppure, semplicemente, contattandomi”
Ma perché mettere in campo un progetto a dir poco fumoso, che potrebbe tornare indietro come un boomerang? “Perché il Gran Premio di Monza è in crisi – risponde Alberto – e puntavano al suo rilancio”.
La nota gara automobilista, infatti, ha da anni problemi di vario tipo: dal punto di vista economico rischia di perdere la centralità di Gran Premio d’Italia perché le altre gare sono più competitive, dal punto di vista sociale è fortemente criticato per l’inquinamento acustico, infine, il rinnovo delle convenzioni non è così certo. “Tutta una filiera che rischia il fallimento, se le cose dovessero peggiorare”.
Ma, per rilanciare un evento, si punta sulla carta della sostenibilità, pur consapevoli che un progetto mancato porta risvolti negativi alla causa e sicuramente nessun beneficio.
“Ogni giorno ci sono associazioni, movimenti, organismi e semplici persone che si battono per aumentare la sensibilità sul tema dell’impatto ambientale delle attività economiche, di fare informazione e creare consapevolezza -conclude Alberto- ma mettere in campo iniziative del genere, significa perdere una buona parte del lavoro di sensibilizzazione portato avanti con fatica e convinzione da quelle persone”.
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