Daniel, videomaker e giornalista, ha viaggiato in lungo in largo sul nostro territorio, alla scoperta di piccole ma sorprendenti esperienze di sostenibilità e cambiamento. L’intervista all’autore del libro “Io faccio così. Viaggio in camper alla scoperta dell’Italia che cambia”
Sette mesi sulla strada, per conoscere le esperienze innovative di chi si dedica ogni giorno a cambiare il proprio ambiente, in favore di un’economia e una vita sostenibile: è lo straordinario viaggio fatto da Daniel Tarozzi, videomaker e giornalista, fondatore di www.italiachecambia.org.
Viaggiando in camper per l’Italia, Daniel ha incontrato un vero e proprio “esercito” di agricoltori e contadini, ingegneri e artigiani, manager e produttori, neolaureati e finanziatori, artisti e ricercatori: tutti impegnati nell’alleggerire l’impatto umano sull’ambiente e nel creare un’economia sostenibile, da cui nessuno possa essere escluso.
Non teorie o visioni futuristiche, ma idee pratiche in cui la microeconomia è al servizio della valorizzazione del territorio, delle risorse ambientali e la competenza dei lavoratori locali: un Italia che in pochi riescono a raccontare, non mappata dalle grandi statistiche e spesso ignorata dalle politiche energetiche e ambientali.
Queste storie sono contenute nel libro “Io faccio così. Viaggio in camper alla scoperta dell’Italia che cambia”, edito da Chiarelettere. Il Daily Slow ha voluto approfondire con l’autore la sua esperienza .
Daniel, Com’è nata l’idea di fare un viaggio attraversando il nostro territorio e raccontando quanto sia viva, anche in Italia, la transizione verso la decrescita?
Di mestiere faccio il giornalista e mi occupo da 12 anni di ambiente, decrescita, sostenibilità, economia, agricoltura, salute, alimentazione e nuovi stili di vita. Nel tempo mi sono reso conto che la rappresentazione della realtà offerta dai mass media nei principali canali di informazione e di intrattenimento era dissonante con quanto osservavo quotidianamente dal mio computer, seguendo questi mondi per alcuni giornali web. Ho quindi deciso di partire con un vecchio camper per andare a vedere davvero che cosa succedeva in giro per il nostro Paese. La scoperta, più che la conferma, è stata entusiasmante: esiste un pezzo di paese, rappresentato da milioni di persone che, lontano dai riflettori dei mass media vive e agisce in modo “diverso”, costruendo già ora alternative concrete al paradigma culturale morente che si è imposto nello scorso secolo. Quello che ho incontrato in giro per il Paese, non è un’Italia che sogna di cambiare o che si prepara a cambiare. È un’Italia che è già cambiata. Ed è questo che ho cercato di raccontare nel mio libro e che, con un gruppo di colleghi, stiamo cercando di continuare a raccontare sul nostro giornale web, “Italia che Cambia”, che potete trovare all’indirizzo www.italiachecambia.org.
Qual è l’esperienza che ti ha colpito di più in questi sette mesi e perché?
Questa è la domanda che mi fanno più spesso e a cui puntualmente mi rifiuto di rispondere: ho incontrato in tutto oltre 400 realtà e migliaia di persone. Non posso scegliere una o due esperienze, perché farei un torto alle altre e anche per la natura della mia ricerca. Ho incontrato persone legate a differenti modi di vivere: imprenditori, associazioni, gruppi di cittadini che si attivano per la difesa del loro territorio, sindaci che riescono a realizzare politiche virtuose nei loro comuni, giovani che scelgono di tornare all’agricoltura, insegnanti che cambiano la scuola o inventano nuovi modelli di insegnamento, cohousing, ecovillaggi, tranisition town, cittadini che valorizzano le periferie, progetti di integrazione per disabili o immigrati, esperienze di lotta concreta alla cultura mafiosa.
Come scegliere tra queste una sola esperienza? Quello che posso dire è che ho trovato un minimo comun denominatore tra tutte queste persone: la capacità di sognare l’“impossibile” e realizzarlo, al di là della mancanza di soldi, della burocrazia che ti ostacola, del senso di solitudine apparente.
Le micro cooperative, le così dette “imprese cenerentola”, possono davvero fare la differenza nel costruire un nuovo tipo di economia, dal volto più “umano”?
Premesso che non nego minimamente i problemi che migliaia di persone vivono in questo momento storico e che non sottovaluto il dramma della disoccupazione, voglio però sottolineare che le realtà che ho incontrato in giro per le venti regioni italiane non solo non sentono la crisi, ma in molti casi stanno addirittura assumendo.
Chi mette al centro la sostenibilità, la valorizzazione delle risorse locali e le relazioni umane viene “premiato” dal mercato, mentre chi persegue in politiche devastanti e suicide sente avvicinarsi sempre di più la crisi. Queste imprese, da sole, non possono sopperire alle difficoltà del momento, ma di sicuro stanno tracciando il sentiero e la loro direzione: stanno creando il modello che presto, spero, potranno seguire in molti.
“Io faccio così”, il titolo del tuo libro che raccoglie queste storie, è la motivazione che le persone ti hanno dato, giustificando le proprie scelte…pensi che questa sia una vocazione o è possibile insegnare a guardare oltre il proprio profitto personale ed assumersi le responsabilità della tutela del territorio?
Io Faccio Così è la risposta che mi davano quelli che incontravo: non mi dicevano “ho un’idea”, “mi piacerebbe”, “vorrei”, ma mi raccontavano, mi testimoniavano quanto stavano effettivamente realizzando. Credo che, a livello potenziale, chiunque in Italia possa realizzare i propri sogni: è però necessario coraggio, determinazione, forza di volontà e una visione positiva della vita. Le difficoltà sono tante, ma le possibilità altrettante. Si tratta di scegliere dove concentrare la nostra attenzione. Per paradosso, una delle persone da me intervistate mi ha spiegato bene quanto stava vivendo: “Prima vivevo con angoscia il pensiero di avere dei debiti. Ora ho capito che il problema non è mio, ma dei miei creditori”! Ora, è una battuta, ma ben riassume lo spirito che muove.
Andrea Paoletti, biellese trasferito in Basilicata per far partire un incubatore di idee mi ha confermato: “Qui vige una sola regola: ‘vietato lamentarsi’!”. E ancora, i ragazzi del Gat di Scansano, che hanno raccolto oltre un milione di euro in poche settimane per realizzare il loro sogno di azienda agricola, o le ragazze che portano speranza e cultura a Scampia, dimostrano che se lo puoi sognare, lo puoi realizzare. Si tratta di non lottare più contro qualcosa, ma di renderlo obsoleto un modello più funzionante.
Cosa pensi dei movimenti che si oppongono allo sfruttamento del territorio? Spesso ammiriamo il loro lavoro nei paesi del Sud America, ma quando si parla di Tav e di opere a casa nostra i pareri cambiano…
Penso che siano avanguardie fondamentali. Credo che i pareri su “opere” come il Tav siano influenzate dalla mancanza di informazioni o, peggio, dalla disinformazione organizzata. La situazione in Val di Susa è molto diversa da come viene rappresentata dai mass media. Se andate a farvi un giro e parlate con le persone, scoprirete che in quella valle si sta sviluppando qualcosa di unico nell’intero occidente: la nascita di una comunità di decine di migliaia di persone, unite da una visione del mondo comune, che si nutre e si arricchisce in progetti di scambio, di solidarietà, di crescita culturale, quelle che possono diventare le basi per un nuovo futuro. Andate a conoscere i ragazzi di Etinomia e poi ditemi se incontrerete pericolosi terroristi, oppure avanguardie di un mondo possibile, di un futuro possibile.
In sette mesi hai costruito un quadro dell’Italia che non ti aspetti: quali pensi siano i principali ostacoli alla messa in rete di queste esperienze e alla loro ulteriore diffusione?
Purtroppo il principale ostacolo è lo straordinario assordante silenzio dei mass media. I giornali e le tv continuano a parlare di “niente”. Ci raccontano la vita dei politici, i loro discorsi, le loro dichiarazioni, ma non ci danno speranze concrete, non ci mostrano che il paese è molto migliore della sua classe politica. Come spiegava molti anni fa Giorgio Gaber, “la realtà è più avanti!”.
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