Ha un sapore ambivalente il soggiorno tra le campagne di Marche e Umbria per chi viene dal Fucino, cuore agricolo pulsante dell’entroterra abruzzese. Il soggiorno in agriturismo, l’aperitivo al bar, la cena nel ristorantino protetto dalle vecchie mura medioevali del borgo sono infatti deliziosamente rilassanti. Se non fosse che mi guardo intorno e mi rendo conto che questo pezzo di appennino sembra distante anni luce da casa mia, che è invece dietro un paio di montagne.
La parola chiave qui sembra essere “rete di imprese”. E me ne rendo conto quando mi portano un tagliere di salumi e la cameriera mi indica di ognuno il nome del prodotto e il paese limitrofo dal quale arriva. In pratica ogni pezzo dell’economia del territorio valorizza quello che gli cresce di fianco, sono tutti riconoscibili e insieme contribuiscono ad una ricchezza che, obiettivamente, si vede ad occhio nudo. E questo accade dovunque, nella bottega dei prodotti tipici così come tra le confetture del bed and breakfast.
Fatte le dovute proporzioni tra prodotti di salumeria e frutti della terra, non si può non notare la differenza di impostazione rispetto ad un contesto dove ognuno produce per sé e qualcun altro smercia prodotti quasi anonimi per conto di tutti, e questo nonostante decenni di produzione di ortaggi che, in molti casi, per caratteristiche meriterebbero non solo un marchio, ma una medaglia.
Un modello che da anni mostra crepe enormi e che ormai porta ricavi neanche paragonabili a quelli di vent’anni fa. Mentre tutt’intorno alla Conca che un tempo ospitava il terzo lago d’Italia il patrimonio fatto di montagne e valli viene quasi ignorato, almeno quanto vengono svenduti gli immobili dei centri storici dei paesi una volta abitati dai pescatori marsicani.
Io non so se davvero la differenza tra i territori deriva da queste dinamiche, non essendo né un esperto di economia né, tantomeno, un analista dei flussi commerciali agricoli del centro Italia. Forse sono solo le amare suggestioni di un montanaro che guarda con invidia la campagna del vicino.
Ma ingenuamente penso che laddove tanti piccoli produttori non riescono più a ricavare un considerevole guadagno dalla propria attività (a meno che non intervengano fondi statali elargiti a fondo perduto e ridotti ormai al lumicino, anzi, all’insignificanza), gli stessi non possono che decidersi, finalmente, a fare rete, per investire insieme in progetti di innovazione e uscire da quella che si prefigura sempre più come una guerra tra poveri.
Una rete di produzione, trasformazione e distribuzione (è mai possibile che l’Altopiano del Fucino non sia un marchio che campeggia su ogni prodotto che esce dalla Marsica? Come mai è stato così tortuoso il cammino della carota Igp?) ma anche di generazione di energia pulita; i piccoli impianti a biogas valgano come esempio.
In fondo gli esempi non mancano, come “Campagna amica” della Coldiretti, una specie di incubatore per progetti di filiera corta che punta alla costruzione di un ecosistema sostenibile che passi per il prodotti della terra. Manco a dirlo, del Fucino non sembra essercene traccia.
Pericolo cippato – Senza un cambio di rotta si rischia di finire in una profezia che si auto-avvera, quella di chi vede un settore ormai finito e pensa che i suoi attori non possano che tendere l’orecchio a chi offre loro altre possibilità, come quella di sostituire gli ortaggi con i pioppi che servono ad alimentare megatermovalizzatori che stravolgerebbero la storia recente di questo pezzo di Abruzzo e il suo tessuto sociale. Peggio ancora, qualcuno può scegliere la strada dell’illegalità e puntare ai guadagni facili del traffico di permessi di soggiorno.
Da parte sua, la politica locale ha il dovere di indicare un quadro entro il quale possa esplicitarsi un nuovo corso e scartare a priori le ipotesi che snaturano il Dna del territorio, invertendo il trend che la vede sempre restia a farsi trascinatrice nell’elaborazione di un nuovo modello di sviluppo.
E, soprattutto, la stessa classe politica deve evitare di fare orecchie da mercante quando qualcuno propone un progetto orientato a questo scopo. Io credo che siamo ancora in tempo. Spero lo creda anche chi si spacca la schiena a Fucino e chi si erge a suo rappresentante nelle istituzioni.
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