“La Cinese di Maputo” è il primo romanzo di Nathan Levi, medico triestino nato e vissuto per alcuni anni dell’infanzia in Israele, che ha coordinato un progetto di cooperazione materno-infantile a Maputo, in Mozambico, nella seconda metà degli anni ’80, poco dopo la fine del colonialismo portoghese.
L’autore, attraverso Ariel, protagonista e suo alter ego nel romanzo, tesse un intreccio di eventi autobiografici e di fantasia in cui emergono il laicismo, il pacifismo, l’impegno civile e professionale e la ricerca di se stesso, con particolare attenzione all’universo femminile nella sua molteplicità di aspetti, incarnati dalle donne che ne scandiscono la trama.
Gli avvenimenti sono incorniciati da paesaggi vividi, derivanti da esperienze reali, in gran parte dedicati all’Africa, con i suoi suoni, colori e profumi, con i sorrisi e la cordialità dei mozambicani e dei loro bambini, per approdare in una Gerusalemme sempre viva nei ricordi dell’infanzia, fino al lontano Oriente, lasciando spazio ad importanti riflessioni ed interrogativi.
La trama accompagna il lettore attraverso un viaggio interiore tra amori passati e presenti, ricordi dei luoghi dell’infanzia felice, attrazione per la saggezza orientale, con la percezione della sacralità di ogni cosa a cui il protagonista si avvicina per amore di Suyen, la misteriosa cinese di Maputo.
Alcune domande all’autore
Domanda: Dott. Levi, La Cinese di Maputo (Tresogni editore), suo primo romanzo, ha ricevuto numerose recensioni, molte alquanto lusinghiere. Prendo spunto da queste per approfondire dei retroscena psicologici di Ariel, il protagonista. Il romanzo racconta dell’esperienza di un pediatra in Mozambico, di un’umanità dolente rischiarata dal sorriso di splendidi bambini, di terre che attendono il riscatto dalla fame e dall’ignoranza. C’è tanto amore. Amore rivolto anche alle donne che, in qualche modo, ne escono come le vere protagoniste. Più di un lettore, o meglio lettrice, punta il dito su una certa passività di Ariel nei confronti delle donne. Lui appare seguire la loro danza invitante e subirne inevitabilmente la perdita. È così?
Risposta: Forse, ma solo in parte. Ariel è indubbiamente un romantico e il fascino femminile lo accompagna lungo percorsi lavorativi e viaggi interiori alla ricerca della saggezza ultima. Ariel vive la donna come madre, amica, compagna di intelletto e di passione. I suoi legami sono sinceri e forti e fragile la sua gestione delle perdite affettive. Per questo motivo Ariel non lascia; viene lasciato.
Domanda: Nel romanzo ci sono pagine a forte carica erotica, una miscela di passionalità che definirei ‘convenzionale’ e di trasporti quasi mistici. Contraddizione solo apparente?
Risposta: L’esplorazione, la scoperta, l’omaggio al corpo della donna sono per Ariel elementi primari del gioco, mai superficiale, con il fascino femminile. Ma lui vive il sesso come il dialogo intimo fra due anime. Le due componenti dell’amore sono per lui fuse in una sostanziale unità. Un possibile cammino verso la trascendenza.
Domanda: Si riferisce alla bella descrizione di un rapporto di tipo tantrico, vero?
Risposta: Sì, proprio così. La ricerca, attraverso l’unione fra uomo e donna, di quello stato di massima saggezza che l’Oriente chiama Illuminazione.
Domanda: La seconda parte del romanzo è dedicata alla ricerca di una donna e di se stesso. In un libro denso di intensità terrena, il termine sacralità compare più volte. Può spiegarci?
Risposta: Suyen, la cinese di Maputo, svela ad Ariel l’antica saggezza taoista e buddhista. Un pensiero che lo attrae anche perché vi trova la risposta all’esigenza di sacralità che anima il suo profondo. Ariel, nato in Israele da famiglia ebrea, non è un credente. Non crede in una divinità che controlla, punisce, premia e dispensa. Si sente estraneo al dualismo, alla frattura fra inconciliabili opposti insita nella nostra cultura occidentale e nelle sue religioni. Lo affascina invece il richiamo all’unità. L’intima identità degli opposti, dello Ying e dello Yang dell’antico pensiero cinese. Tutto l’esistente, l’animato e l’inanimato, i mari, i deserti, le montagne, gli insetti, l’uomo, Dio, il sesso più sfrenato e l’amore più sublime, gli sembrano gli elementi inseparabili di un tutto, di un disegno unitario da ammirare e sentire con profondo rispetto e umile appartenenza.
La Cinese di Maputo è alla sua prima ristampa. Un romanzo che ho letto di getto, come da tempo non mi accadeva, e ripreso più volte. Una lettura scorrevole che coinvolge e rapisce, accompagnando il lettore nell’intenso viaggio del protagonista di cui, ad ogni rilettura, emergono nuovi spunti di riflessione.
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