Giochi economici, poco dispendiosi, che si svolgevano all’aperto, nei cortili delle vecchie masserie o dei palazzi nelle città, che i nonni trasmettono ancora oggi ai propri nipoti per mantenere le tradizioni siciliane: nell’isola – e in particolare a Catania – tante sono le attività ludiche che i bambini si inventavano per trascorrere insieme le giornate estive. Una gioventù, quindi, segnata da piacevoli giochi dai nomi tipici dialettali.
Tra le figure di riferimento dei piccoli, colei che insegnava alcuni passatempi era “a mastra”, una sorta di baby sitter-educatrice, che ospitava a casa sua, dietro compenso, gruppi di bambini.
“A megghiu visula” è il classico lancio della monetina, in cui vinceva quella che andava più lontana.
“A ncugna”: vinceva chi lanciava il sassolino nel punto più vicino al bordo del marciapiede.
“A-ccarricabotti” è una specie di cavallina, mentre“a-mmuccia mmuccia” è il classico nascondino. “E cciappeddi” assomiglia alle bocce; “nignirignola” è il gioco in cui un bimbo girato di spalle deve indovinare il numero che fa con le mani un altro dietro di lui; “o sciancateddu” è simile al gioco della campana e “o sgobbiu” si fa con i tappi, che devono seguire un tracciato: vince quello che arriva per primo alla fine. Poi c’è la classica trottola (il legno), detta “Tuppettira”.
Tra le filastrocche: “Luna lunedda”, “Naliu nalau” – cantata dalle mamme ai bambini seduti sulle loro ginocchia -, “Pizzica jaddu”, “Signuruzzu chiuviti chiuviti” – dedicata alla pioggia -, “Tri, Tri, Tri” e “Turiddu, picchì-cchiànci?”, da cantare in cerchio.
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