I numeri contenuti nel rapporto “Ecomafie 2013” di Legambiente sono imponenti: 16,7 miliardi di euro di fatturato, 34.120 reati accertati, 28.132 persone denunciate, 8.286 sequestri effettuati. Legambiente dà i numeri delle illegalità ambientali.
“Il business della criminalità organizzata non conosce recessione e, anzi, amplia i suoi traffici con nuove rotte e nuove frontiere”, così Carlo Lucarelli nella prefazione del rapporto Ecomafia 2013 di Legambiente. Gli illeciti ambientali accertati lo scorso anno delineano una situazione di particolare gravità. Il 45,7% dei reati è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia) seguite dal Lazio e dalla Toscana. Prima regione del Nord Italia, la Liguria. Crescono nel 2012 gli illeciti contro gli animali e la fauna selvatica (+6,4% rispetto al 2011), con una media di quasi 22 reati al giorno. Ha il segno più anche il numero di incendi boschivi che hanno colpito il nostro paese: esattamente +4,6% rispetto al 2011. È un’economia che non conosce la parola recessione quella fotografata da Ecomafia 2013, il rapporto annuale di Legambiente realizzato grazie al contributo delle forze dell’ordine, con prefazione di Carlo Lucarelli ed edito da Edizioni Ambiente. Il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza ha dichiarato:
“Quella delle Ecomafie è l’unica economia che continua a costruire case abusive quasi allo stesso ritmo di sempre mentre il mercato immobiliare legale tracolla. Con imprese illegali che vedono crescere fatturati ed export, quando quelle che rispettano le leggi sono costrette a chiudere i battenti. Un’economia che si regge sull’intreccio tra imprenditori senza scrupoli, politici conniventi, funzionari pubblici infedeli, professionisti senza etica e veri boss, e che opera attraverso il dumping ambientale, la falsificazione di fatture e bilanci, l’evasione fiscale e il riciclaggio, la corruzione, il voto di scambio e la spartizione degli appalti. Semplicemente perché conviene e si corrono pochi rischi. Le pene per i reati ambientali, infatti, continuano ad essere quasi esclusivamente di tipo contravvenzionale e l’abbattimento degli edifici continua ad essere una eventualità remota”.
E la criminalità ambientale, oltre a coltivare i soliti interessi, sa anche cogliere tutte le nuove opportunità offerte dall’economia: l’ufficio centrale antifrode dell’agenzia delle dogane segnala che i quantitativi di materiali sequestrati nei nostri porti nel corso del 2012 sono raddoppiati rispetto al 2011, grazie soprattutto ai cosiddetti cascami, cioè materiali che dovrebbero essere destinati ad alimentare l’economia legale del riciclo, che invece finiscono in Corea del Sud (è il caso dei cascami di gomma), Cina e Hong Kong (cascami e avanzi di materie plastiche, destinati al riciclo o alla combustione), Indonesia e di nuovo Cina per carta e cartone, Turchia e India, per quelli di metalli, in particolare ferro e acciaio. Questi flussi garantiscono enormi guadagni ai trafficanti e un doppio danno per l’economia legale, perché si pagano contributi ecologici per attività di trattamento e di riciclo che non vengono effettuate e vengono penalizzate le imprese che operano nella legalità. Come confermato dalle inchieste svolte in Sicilia sul “finto riciclo”, che hanno smascherato le nuove strategie criminali su questo fronte.
L’accentuata dimensione globale delle attività degli ecocriminali, la diversificazione delle loro attività, si accompagnano in maniera sempre più evidente con l’altra piaga che affligge il nostro paese: la corruzione. In costante e inarrestabile crescita. Insomma, a “tavolino” si spartiscono appalti, grandi e piccoli, in quasi tutte le province italiane con un enorme danno per la collettività chiamata a sostenere oneri superiori a quelli che si sarebbero determinati nel rispetto della legge.