Sono trascorsi ormai cinque giorni dal “fattaccio” (hooligans vs Roma) e, a maggior ragione, oggi c’è bisogno di raccogliere le idee a mente fredda, sia per evitare di scrivere in preda alla foga del momento che per essere il più oggettivi possibile.
Era un normale giovedì soleggiato e io – da persona completamente estranea al calcio e alle sue dinamiche – passeggiavo per il centro della capitale come nulla fosse. È vero: un elicottero vorticava sulla mia testa da parecchio tempo e avevo notato uno strano spiegamento di forze. Ma a Roma siamo abituati: un giorno sì e uno no, un personaggio importante fa il suo ingresso nella città eterna, richiamando tutte le attenzioni del caso (forse qualcuna in più).
Avevo deciso di fare una passeggiata a Villa Borghese quando, fortunatamente, ho avuto l’istinto di chiedere a un passante cosa stesse succedendo: il ragazzo stava tornando a passo svelto dal parco, in quanto un gruppo di hooligans era stato appena radunato dalla polizia proprio all’ingresso. Incredula, ho preferito proseguire: non sarà la fine del mondo – ho pensato.
Poi, delle urla da lontano: erano i “canti” della tifoseria del Feyenoord. Non ho mai amato le pulsioni barbariche che il calcio sembra naturalmente chiamare ma la cosa, lì per lì, mi ha più incuriosita che spaventata. Dopo le grida, i tifosi: mentre procedevo verso il parco, piccoli gruppi di ultras mi passavano accanto, con le facce incattivite (o sarebbe meglio dire: istupidite) dall’alcool.
Arrivata all’ingresso pricincipale ho deciso di fare dietrofront: a quanto pare, la situazione era insostenibile, anche a causa dei fumogeni. Una coppia di ragazze, nel frattempo, mi avvertiva che in Piazza di Spagna era successo il peggio.
Autobus stracolmi di olandesi correvano per le vie di Roma. Sopra ai parabrezza, non i numeri dei veicoli ma la scritta “stadio”. Era chiaro che buona parte dei mezzi era stata sottratta ai cittadini per essere offerta a chi, con la sua – per quanto poco gentile – presenza, permette alla lobby del calcio di prosperare. Opinione da cittadina arrabbiata? Non proprio. Camminando per il centro, i fatti si imponevano all’attenzione: gli autobus non si limitavano a trasportare dei tifosi allo stadio.
Il perché è presto detto: i mezzi dell’Atac traboccavano di mandrie esaltate, cui non bastava lanciare qualche urlo barbarico fuori dal finestrino. Gli hooligans erano in preda alla follia collettiva e scalciavano, prendendo a pugni i finestrini dall’interno, come per tirare fuori tutte le repressioni accumulate nel corso di una vita. Gli autisti erano osservatori (ed esecutori) passivi di un qualcosa che avrebbero fatto volentieri a meno di portare avanti. Ciò che più mi ha sconcertato è stata la quantità di poliziotti e carabinieri impiegati come scorte.
“È per prevenire i disordini” – mi ha detto qualcuno. Preferirei – per il momento – non commentare l’utilizzo di soldi pubblici per prevenire le conseguenze di uno sport che a quanto pare sfama bocche pubbliche e private.
Mi sono infine incamminata verso Piazza di Spagna, dove avrei dovuto prendere la metropolitana per tornare a casa. Inondata dalla puzza di alcool e urina di via Condotti (che di solito profuma di signore borghesi), mi sono trovata di fronte bottiglie di vetro spaccate e sporcizia varia, sia dentro la fontana che fuori. Spazzini e polizia erano al lavoro, per mettere a posto uno spettacolo veramente triste.
Ma è la rabbia ad aver avuto il sopravvento: chi ha permesso tutto ciò? Se gli autobus erano doverosamente scortati, questo significa che i disordini erano stati previsti. Quindi mi chiedo: come sono stati possibili vandalismi del genere nonostante lo spiegamento delle forze dell’ordine (a mio avviso sufficienti)? Chi ha permesso la vendita di alcolici in bottiglie di vetro in pieno centro storico? Che parte ha avuto l’Italia in tutta questa storia?
Le opinioni si sprecano e hanno già avuto uno spazio sufficiente sui giornali di tutta Italia (e non solo). Ma rimane l’amarezza per il danneggiamento di opere d’arte come la Barcaccia, patrimonio inestimabile per una nazione che potrebbe vivere solo di turismo; e di arte, appunto.
Il Daily Slow lancia un appello, che forse si perderà nei meandri degli innumerevoli fatti di cronaca che, pian piano, seppelliranno quanto successo: l’arte non si tocca! Se anche voi siete d’accordo, diffondete questo (non barbarico) grido.
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