Ogni esperienza di viaggio lascia un segno nella memoria. Che sia breve o di lunga durata, il viaggio aiuta a sviluppare una maggiore acutezza e capacità di osservazione del mondo circostante. Quando poi al viaggio e alla scoperta di un territorio si vuole affiancare la conoscenza dell’identità del luogo, il museo e le sue collezioni ci parlano di storie che hanno attraversato i secoli per divenire parte integrante della nostra realtà.
Mi piace aprire questo blog dedicato al mondo museale attraverso l’idea del viaggio e di un tipo di viaggio capace di lasciare dietro di se’ tracce secolari ma non invasive, tracce legate al ricordo, alla suggestione del racconto e all’eleganza del tratto scultoreo. Questo viaggio ha come protagonisti un imperatore, il suo desiderio di sentirsi avvolto in un mondo mitologico e un territorio che racchiude in una natura fertile e accogliente un angolo di meraviglia.
Prima di parlare del viaggio museale di oggi, dobbiamo guardare a chi questo percorso l’ha tracciato prima di noi. Il viaggiatore per antonomasia nel mondo classico è Ulisse e proprio a lui e ai suoi compagni è dedicato un museo che – come tanti altri – nasce dal fortunoso ritrovamento di alcuni frammenti o reperti archeologici. Siamo a Sperlonga, sul litorale laziale, immersi in un paesaggio che già al tempo dell’imperatore Tiberio affascinava per le sue colline digradanti verso un mare dal blu intenso. E per comprendere a fondo la collezione del museo dobbiamo tornare indietro nel tempo, quando nel 14 d.C. Tiberio succede ad Augusto e sceglie per sé questo angolo di spiaggia per costruire una villa maestosamente decorata lunga oltre 300 metri.
La villa imperiale sfruttava parzialmente una cavità naturale adibita a ninfeo – la cosiddetta Grotta di Tiberio – ed è all’interno di questa cavità che i gruppi scultorei con protagonista Ulisse trovavano una perfetta collocazione. Nel 26 d.C., però, una frana causò la fuga dalla villa, Tiberio scelse l’isola di Capri come buen retiro e l’area di Sperlonga fu parzialmente abbandonata. Solo nel 1957 si avviò una campagna di scavo che portò alla luce un’Odissea tradotta in marmo attraverso la quale si poteva seguire uno dei viaggi più avventurosi della letteratura di tutti i tempi.
Il Museo archeologico di Sperlonga, quindi, ospita i reperti frutto dello scavo novecentesco, ricostruiti in quattro grandi gruppi narrativi: l’assalto di Scilla alla nave di Ulisse, l’accecamento di Polifemo, il ratto di Palladio e Ulisse che solleva il cadavere di Achille. La raffinatezza del segno scultoreo e la pregevolezza dei marmi hanno fatto supporre che gli autori di tutte queste opere fossero gli scultori greci Atenodoro, Agesandro e Polidoro da Rodi (il loro nome è visibile solo sul gruppo di Scilla), vale a dire gli stessi autori del Laooconte oggi conservato nei Musei Vaticani e considerato uno dei massimi capolavori dell’arte greca.
Il gruppo di Polifemo occupa la maggiore porzione di spazio, considerando anche che la statua del ciclope è lunga circa 5 metri; così come per gli altri gruppi, si disponeva di molti frammenti che in alcuni casi non rendono di facile lettura il significato delle opere, e questo anche a causa della furia iconoclasta di alcuni monaci che distrussero le opere nel V-VI secolo d.C. quando occuparono il sito dove si ergeva la villa di Tiberio. Per tale motivo è stata predisposta una copia in resina epossidica che restituisce il gruppo scultoreo nella sua interezza e accanto a questo sono collocati i frammenti originali in modo da avere un rimando immediato.
Il gruppo che colpisce maggiormente l’attenzione, però, è quello di Scilla, non solo per la collocazione al centro della prima sala, soprattutto per l’intensità degli sguardi, per la capacità di attrarre e di svelare le emozioni: si leggono negli occhi e nei movimenti di tutti i protagonisti la paura, la fatica e il dolore; posseggono un’umanità e una profondità tali da risultare estremamente moderni nella lotta disperata contro il mostro marino con Ulisse che cerca di salvare invano i suoi marinai. Sulla poppa della nave sono incisi i nomi dei tre scultori greci e dalle corrispondenze stilistiche tra la statua di Polifemo e quella di Scilla si è giunti all’attribuzione di tutta la decorazione narrativa della Grotta di Tiberio.
Forse ciò che rende ancor più emozionante il percorso è l’architettura del museo che ha cercato di mantenere vivo il dialogo con il paesaggio; infatti, attraverso le grandi pareti a vetrata e le numerose finestre si può guardare lo stesso mare che Tiberio aveva scelto per la propria villa e sia che si vada in una giornata d’inverno o d’estate, il sentiero che conduce fin giù alla spiaggia permette di immergersi nell’antro e immaginare ricollocati al suo interno le sculture greche così come erano state viste dall’imperatore.
Uno degli aspetti più importanti su cui porre l’accento in questo museo è la diretta corrispondenza della collezione con il territorio, il raccordo immediato tra ciò che è esposto nelle sale e la natura circostante. Non è così comune e neanche così scontato che una collezione di tale pregio sia rimasta nel luogo del ritrovamento e che, ancor più significativo, non si sia verificato il tipico effetto da collezione storicizzata con opere del tutto decontestualizzate dal luogo di conservazione. Il valore di un museo come l’archeologico di Sperlonga risiede nella sua unicità e specificità piuttosto che nella sua grandezza. È un museo con un’identità molto forte, di comprensione immediata e che lascia un buon ricordo di sé.
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