Insegno italiano agli stranieri da quasi 25 anni, a stranieri che vengono a Firenze da tutto il mondo per piacere, non per necessità.
Fino a qualche anno fa ho insegnato solo in scuole private, poi è nato il progetto ParlaconBarbara (www.parlaconbabara.it): apprendere o migliorare l’italiano fuori dall’aula, attraverso l’esperienza della città, facendo una colazione italiana in un bar, passeggiando, andando in biblioteca, a teatro, in luoghi frequentati anche dai fiorentini.
Per quanto riguarda i principianti mi pare più efficace e divertente provare davvero, vivere le situazioni linguistiche di base, di sopravvivenza, che invece rimanere in una classe dove si possono solo simulare.
Per chi già parla un po’ o molto l’italiano si aprono quasi infinite possibilità: se l’esigenza più sentita per chi impara una lingua è sempre quella di migliorare nel parlato, un’esperienza condivisa offrirà spontaneamente questa opportunità, mentre si passeggia, si fa un picnic, si sceglie un libro da uno scaffale in biblioteca e se ne legge l’incipit, si va insieme al cinema o a teatro; la conversazione nascerà naturale da quel che si sta vivendo con gli altri.
Firenze, la mia città, è piena di turisti per quasi tutto l’anno, è tra le città più fotografate al mondo. Qui ancora sopravvive il turismo di massa, dei viaggi organizzati in grandi gruppi, delle crociere, è una delle méte canoniche per un giorno o due.
Ma voglio credere, non resisto alla tentazione di credere a quegli esperti del settore che affermano che questo tradizionale, impattante modo di muoversi nel mondo sia comunque in declino, al tramonto; e che “l’industria dei viaggi del futuro sarà quella che ci aiuterà ad inserirci nella realtà di ogni Paese e a capirla…Si viaggerà per andare a trovare qualcosa -una filosofia, uno stile di vita -che nel nostro Paese ci manca” (Alain de Botton).
Già la scelta di imparare una lingua, con lo sforzo che implica, come chiave per entrare nella realtà di un Paese mi pare ottima e nella direzione indicata da de Botton.
Posso immaginare inoltre che a chi piace molto l’Italia, dopo la prima volta in cui l’avrà girata più o meno velocemente per farsene un’idea generale, venga il desiderio di tornarci, ma questa volta per coglierne aspetti più autentici, per avvicinarcisi di più.
Penso anche a quella comunità di stranieri che per motivi di studio o di lavoro soggiornano a Firenze per mesi o per anni, per cui però non è facile non dico integrarsi nella vita fiorentina, ma nemmeno mescolarcisi un po’; rischiano sempre di rimanere piuttosto chiusi nel loro mondo di expat o simili, come a volte è successo anche a me quando ho studiato all’estero.
Da parte nostra, che operiamo in questo settore, devono aumentare le offerte che vanno nella direzione di un impatto sostenibile del turismo: piccoli o piccolissimi gruppi, la cui fruizione della città, di tutto quello che può offrire dal punto di vista enogastronomico, culturale, paesaggistico, si mescola con la sana, naturale fruizione dei suoi cittadini.
Un turismo di qualità, che non è affatto sinonimo di turismo esclusivo, per ricchi, porterà moltissimi benefici ai viaggiatori e ai fiorentini, anche al di sopra delle più rosee aspettative che possiamo avere.