Giusto è che questa terra, di tante bellezze superba,
alle genti si addìti e molto si ammiri,
opulenta d’invidiati beni e ricca di nobili spiriti».
(Lucrezio, De rerum natura, I secolo a.C.)
È proprio vero ciò che scriveva il grande poeta latino a proprosito della nostra bella isola di Sicilia: essa è “opulenta d’invidiati beni”. Spesso questi beni sono poco conosciuti, seppure alla vista e alla portata di tutti: il loro problema è quello di non essere inclusi fra le più note e consuete mete turistiche. Sta quindi a noi riportarveli, perché meritano la nostra attenzione sia come turisti che come promotori turistici: uno fra questi è certamente il Castello di Calatabiano.
Visibilissimo dall’autostrada Catania-Messina, all’altezza dello svincolo di Fiumefreddo, arroccato su suoi 220 metri s.l.m. sopra il paese che gli ha dato il nome, diviene ancora più suggestivo di sera, giacché l’illuminazione ne rileva la bellezza antica ed austera delle sue mura e degli imponenti bastioni. Perfino il dritto e ripido binario su cui si muove l’ascensore che porta i visitatori al castello diviene un elemento decorativo che colpisce, con le sue lucine, l’occhio dell’automobilista distratto.
La bellezza del castello è accresciuta dalla sua storia. Che ripercorre quella della stessa Sicilia. Storia che ha modellato la struttura e la forma del castello: storia che si è fusa col castello. Questo il filo conduttore della nostra visita: il castello nella (e con la) sua storia.
Salendo a piedi la stradina che dal paese di Calatabiano giunge al castello, ci siamo prima soffermati ad ammirare la Chiesa del SS Crocifisso, dentro la quale è custodita la statua di San Filippo: santo oggetto di grande devozione nel paese di Calatabiano. Infatti, nel pomeriggio del 16 maggio è possibile ammirare la processione che porta la statua del santo dalla chiesa che lo ospita giù giù fino al Duomo del paese. Processione suggestiva per le sue luci, le sue voci e i suoi colori. Suggestione e storia.
La magia di queste parole ci ha poi condotti fino al castello, poco più sopra detta chiesa. Lì è continuata la nostra visita ed il racconto partito dal geografo e viaggiatore siculo-arabo Abu ‘Abd Allah Muhammad ibn Idris (1099 – 1164) che, su ordine del conte normanno Ruggero presso cui era a servizio, disegnava la Sicilia e i suoi sistemi fortificati nella carta tratta dal “Libro di Ruggero”: questo il primo documento scritto del castello di Calatabiano. Da Idris siamo poi passati subito alla fine della storia del castello, giacché la sua parte inferiore è stata rimodellata dalla famiglia nobiliare di origini spagnole, Cruyllas, che ha posseduto il castello nel XVII secolo, fino al terribile terremoto del 1693 che lo ha consegnato all’oblio. Oblio da cui è uscito negli ultimi decenni grazie ad un’importante opera di recupero e restauro.
Terminato il giro nei sontuosi ambienti costruiti dai Cruyllas, siamo saliti nella parte più alta del castello, che è la parte più antica; una parte che risale sicuramente all’epoca della colonizzazione greca in Sicilia, data la sua vicinanza con Naxsos, colonia calcidese. Lì sono ben visibili i due bastioni che hanno protetto il castello per secoli, il pozzo per la raccolta dell’acqua e la porta con l’arco a tutto sesto, di origine romana. E poi il panorama. Uno splendido panorama. Con un unico colpo d’occhio infatti si vedono l’Etna, il mare, la verde valle dell’Alcantara e Taormina: uno splendore! Ecco cos’è il castello di Calatabiano: la storia (cioè le vicende umane) che si intreccia in un’armonica fusione con un paesaggio particolare (cioè con la natura del luogo). Questo (e molto di più) si coglie visitando questo antico maniero.
Alla fine della visita, siamo andati via con nella mente una precisa consapevolezza: gli antichi monumenti della Sicilia recano con sé, oltre ai secoli di storia, anche un sapore di mistero; un mistero che invade il visitatore al solo nominare le differenti popolazioni che hanno contribuito all’edificazione di ogni monumento: popolazioni che pur conosciute, reali e i cui nomi abbiamo sentito molte volte, divengono quasi magiche e fantasiose ogni qual volta le si rinomini, visto che non ci sono più e vissero in un tempo che noi sentiamo come remoto. Ma, di certo, il mistero più grande è che esse rivivono nei siciliani: sono i siciliani!
* Articolo di Gabriele Montemagno
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