Durante una passeggiata primaverile tra le verdi colline della mia città, mi trovai di fronte a un gruppo di caprette girgentane intente a pascolare e rimasi rapita dal fascino di quegli intelligenti e curiosi esemplari. La razza caprina girgentana – che trae la sua denominazione da “Girgenti” (nome normanno per Agrigento) – si trova a metà tra le antilopi e le pecore, avendo caratteri comuni alle une e alle altre.
La capra è un animale erbivoro, con zampe corte e robuste, fronte larga, orecchie rivolte verso l’alto e occhi grandi. Il mantello può essere uniformemente bianco, grigio, nero, biondo o variamente pezzato. Sono dotate di vista, olfatto e udito acuti, e sono agilissime nell’arrampicarsi sui sassi, nella corsa e nel salto. Ma ciò che caratterizza questa razza caprina sono le particolari corna a spirale, chiamate barbigli, che nei maschi possono raggiungere anche i 70 cm di altezza.
La girgentana ha abitudini diurne, si adatta bene alla presenza dell’uomo e spesso allatta i piccoli di altre specie. Si crede sia arrivata in Sicilia con la civiltà greca, radicandosi nel territorio siciliano in generale e agrigentino in particolare.
La capra (non solo la girgentana) ha sempre occupato un posto privilegiato nell’immaginario collettivo, tanto da essere considerata sacra da alcuni popoli. Il motivo consiste probabilmente nel fatto che essa è facilmente associabile all’abbondanza e alla prolificità.
La mitologia greca, in particolare, attribuisce alla capra girgentana l’onore di essere stata la nutrice di Zeus. Amaltea: questo era il suo nome. Si trattava di un animale bellissimo, veloce, leggero e orgoglioso, soprattutto per le sue corna attorcigliate e splendenti. Aveva inoltre il dono dell’eterna giovinezza.
Secondo il mito, Amaltea intervenne per salvare il neonato Zeus, sottraendolo alla sorte toccata ai suoi fratelli, divorati dal padre Crono. Rea, la madre, lo consegnò infatti alla cognata Temide, la quale lo affidò appunto ad Amaltea, che in alcune versioni è una ninfa e in altre una capra. Rea, in cambio del figlio, diede una pietra avvolta in un panno al marito, il quale la ingoiò insieme all’inganno tessuto da lei.
Amaltea allevò il piccolo dio con il suo latte, ricco di qualità straordinarie. Poi, un giorno, Pindaro cantò la bellezza dell’antica Akragas, risvegliando lo spirito di Amaltea,, che partì alla sua volta. Da quel momento, i colli dell’odierna Agrigento si riempirono di questi meravigliosi esemplari, che ancora oggi deliziano la nostra vista.
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