Nei mesi estivi, spesso, i riflettori sono puntati sulle nostre coste, sullo stato di salute delle acque, sulla sostenibilità delle vacanze al mare: ci si dimentica, a volte, del patrimonio di ricchezza naturale e biodiversità rappresentato da una catena montuosa come le Alpi. Ed è Legambiente a ricordarci di quanto siano importanti e, allo stesso tempo fragili: con la Carovana delle Alpi, che attraverserà tutto l’arco alpino entro l’estate, i volontari dell’associazione faranno un check up completo, assegnando non solo le bandiere verdi, ma anche le temutissime bandiere nere.
Dal 2002, Legambiente monitora le Alpi, rilevando cattiva o buona gestione delle risorse da parte di enti e amministrazioni, gli interventi di tutela, gli abusi edilizi, i progetti pubblici e privati, dividendo gli “speculatori” della montagna da chi invece desidera valorizzarla riducendo l’impatto delle attività umane. E sono proprio le bandiere nere a dover essere messe in luce, per segnalare a gran voce le azioni da condannare.
Anche quest’anno, spiegano da Legambiente, vengono individuati, nel dossier, i pirati della montagna, che a causa di una “visione distorta della valorizzazione turistica del territorio favoriscono la speculazione in nome del turismo, aprendo alla cementificazione”: sono undici le storie di sfruttamento del territorio e incuria che ci arrivano dal Nord Italia, in particolare, quest’anno, dal Friuli Venezia Giulia e in Lombardia, dal Piemonte, dal Veneto, dal Trentino e dalla Valle D’Aosta.
Le Bandiere Nere. Valorizzare il territorio vuol dire non solo indicare le buone pratiche per ridurre l’impatto umano, ma significa anche segnalare, con coraggio, chi antepone il proprio profitto alla tutela del patrimonio naturale delle nostre catene montuose. E, con coraggio, Legambiente assegna ben tre bandiere nere al Friuli Venezia Giulia, suddivise fra enti pubblici e società private. La prima va alla società Edipower per la “colata di fango verificatasi a valle della diga di Sauris”: 56.000 metri cubi di limo e detrito fine scaricati dal lago artificiale di Sauris, negli alvei del torrente Lumiei e del fiume Tagliamento. Uno scarico effettuato con modalità errate e in soli 20 giorni, anziché in 60, secondo l’associazione, “per ragioni esclusive di tornaconto dell’azienda”.
Seconda bandiera nera, che sorprenderà qualche lettore, va agli organizzatori regionali del Giro D’Italia: si potrebbe pensare che una manifestazione del genere sia rispettosa della natura quasi per costituzione, Legambiente ci spiega perché non è così. Al Montasio, in cima alle Alpi Giulie, il Giro d’Italia “ha portato questa volta anche uno sfregio permanente all’ambiente e al paesaggio. A chi frequentava in passato la zona i luoghi appaiono oggi irriconoscibili”.
Un disboscamento a tappeto, sia del percorso, che delle zone circostanti: “I sei chilometri che da Sella Nevea salgono al parcheggio nei pressi delle malghe sembrano aver subito l’effetto di un tornado”. Un itinerario immerso nel bosco che, spiega Legambiente, adesso non esiste più. Queste operazioni non solo nell’esclusivo interesse del Giro: sono state effettuate, per lo più, per permettere le riprese televisive a fianco dei corridori, più realistiche ed emozionanti di quelle fatte dall’elicottero: “Il costo di mezz’ora di riprese televisive è un danno che resterà per anni, per decine d’anni”.
Terza bandiera, infine, va all’ANAS e a Friuli Venezia Giulia-Strade, per gli interventi attuati sulla viabilità della Carnia e del Canal del Ferro. Opere appena inaugurate giudicate inutili da Legambiente, interventi minori costosi e pericolosi, serviti soprattutto a favorire la mobilità di tir ad alte velocità, altre azioni sovradimensionate: una serie di attività che hanno trasformato la valle, con un pesante impatto sull’ambiente ed il paesaggio, “reso possibile dalla decisione presa a suo tempo dalla Regione di non ritenere necessario sottoporre il progetto alla procedura di VIA”, cioè la Valutazione d’Impatto Ambientale.
Tre bandiere nere anche alla Lombardia. La prima va a Raffaele Cattaneo, ex assessore alle infrastrutture e mobilità della regione Lombardia
“per la superficialità e l’approssimazione, di cui è politicamente responsabile, con le quali sono stati condotti le procedure di appalto e l’avvio dei lavori della tratta ferroviaria Arcisate-Stabio, opera strategica per il territorio. Una serie di ritardi, complicazioni, tentennamenti, soprattutto poca lungimiranza hanno fatto si che i centri della Valceresio siano rimasti “senza servizio ferroviario e con un cantiere fermo, privilegiando contestualmente l’avvio e la prosecuzione di costose e inutili opere stradali”. Un cantiere che dovrebbe procedere in parallelo con il suo “gemello” svizzero, che invece va molto a rilento e i cui costi lievitano ogni giorno.
Seconda bandiera va ancora all’ANAS, per la cattiva gestione dell’emergenza creata dalla recente frana che ha colpito la SS36 nel tratto fra Dervio e Colico, che ha messo in evidenza gli errori delle istituzioni nel considerare unicamente il sistema stradale per assicurare la mobilità di persone e merci. Terza bandiera, va invece ad un sito: www.ruralpini.it. A danneggiare il territorio alpino, infatti può essere anche un’informazione allarmistica e sensazionalistica, che semplifica la complessità dei problemi della presenza dei grandi predatori. Territori “infestati” da lupi e orsi, a causa del ripopolamento effettuato dalle istituzioni: parole motivate da
“Un’unica preoccupazione: quella di fornire ad allevatori e operatori d’alta quota un nemico, un capro espiatorio su cui sfogare le frustrazioni di un settore da tempo in severa difficoltà. La verità infatti- spiega Legambiente nel dossier- è che la zootecnia d’alta quota, specialmente nel versante italiano delle Alpi, è scomparsa o si è rarefatta per ragioni che nulla hanno a che fare con lupi e orsi”
Passiamo dunque al Piemonte, che ha ricevuto due bandiere nere, entrambe “istituzionali”. La prima va alla Provincia di Cuneo, in particolare all’assessorato Ecologia e tutela ambiente e Risorse idriche, per la cattiva gestione del problema acqua nei territori e le scarse iniziative messe in campo per garantire la sostenibilità. Inoltre, l’esito referendario che punta il dito contro l’eccessivo sfruttamento delle risorse idriche alpine a fini idroelettrici è stato completamente disatteso dall’amministrazione. Seconda bandiera nera alla Regione: per “l’assenza di politiche volte alla tutela, regolamentazione e valorizzazione della montagna”.
Una bandiera nera va al Veneto, ma è una bandiera “collettiva”: Legambiente la assegna ai comuni di Roveré Veronese, San Mauro di Saline e Velo Veronese, in provincia di Verona, per il Piano di Assetto del Territorio Intercomunale denominato P.A.T.I. dell’Unione dei Comuni. Le amministrazioni si sono particolarmente distinte dalle altre per “l’eccessiva quanto fuorviante previsione di nuovi abitanti”: aspettative gonfiate, giustificate dal desiderio di stimolare una rinascita di questi territori, ma che in realtà servono solo alla causa della cemetificazione.
Bandiera nera al Trentino, in particolare alla Comunità di Valle delle Giudicarie: per aver votato un documento che prevede “un ulteriore pesantissimo sacrificio di territorio e di naturalità”, in favore dell’afflusso turistico, con l’ampliamento delle aree sciabili in zone particolarmente importanti dal punto di vista della biodiversità.
Ultima bandiera nera va alla Valle D’Aosta: ancora una volta, sono le istituzioni pubbliche a riceverla. In questo caso, sono ben due gli assessorati che si contengono il primato della cattiva gestione del territorio: l’assessorato alle Attività Produttive della Regione e all’Assessorato opere pubbliche, difesa del suolo ed edilizia residenziale pubblica. La motivazione è la volontà, da parte dei due assessorati, di facilitare la costruzione delle centrali idroelettriche, anche contro il parere di residenti e proprietari, delle amministrazioni comunali coinvolte, delle associazioni ambientaliste. L’obiettivo di produrre energia da fonti rinnovabili, spiega Legambiente, non dovrebbe mai essere messo in contrasto con la tutela ambientale e sociale di un territorio.
In definitiva, tracciando un primo bilancio dell’analisi di Legambiente, è evidente che a peccare sono soprattutto le amministrazioni pubbliche, con gli assessorati preposti alla tutela del territorio spesso in prima linea, e le società pubbliche come l’ANAS. Proprio quegli enti che, per ragioni costitutive, dovrebbero difendere i nostri territori, anziché sfruttarli diffondendo informazioni superficiali ed ignorando le critiche che spesso, proprio dai quei territori, arrivano a gran voce.
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