Ricordate l’articolo su Villa Gregoriana? Qualche giorno fa, ho intervistato Giorgia Montesano, property manager dello splendido parco di Tivoli, per parlare delle sue attività e della bellezza della villa. Subito dopo mi ha contattata Gabriella Cinelli, fiduciaria di Slow Food e archeo-chef (così ama definirsi) nella medesima cittadina laziale. Il suo desiderio era dire la sua – a complemento delle parole della Montesano – su cosa significa essere slow e sostenibili in un luogo in cui la coesione conta più della singola iniziativa. Ho capito sin da subito che aveva molto da dire, tanto che non è nemmeno stato necessario formulare molte domande.
Gabriella, mi spiega meglio di cosa si occupa? Cosa significa essere archeo-chef?
“Per prima cosa, sono docente di cucina per Slow Food. Vivo a Tivoli e sono figlia di ristoratori; per questo, nel tempo, mi sono appassionata alla cucina storica. Sembrerà strano ma questo mi ha reso una persona migliore…
Essere archeo-chef significa avere la possibilità di trasmettere una visione storica, geografica, epica, ecc. attraverso il cibo. La mia intenzione è trasmettere la validità archeologica della cucina stessa, facendo capire dove, come e quando è stato inventato un piatto. I turisti, spesso, vanno per musei, osservando tanti cimeli senza capire a fondo. Si pensi alle tante terracotte rimaste: ben pochi sanno cosa contenessero. Ecco, io ricostruisco questi piatti, anche a partire da opere come L’Odissea; ma anche vini e birre. Persino la pozione di Circe! In questo modo, scopriamo rituali che ci appartegono profondamente.

Gabriella Cinelli

Placca votiva in terracotta ritrovata al santuario di Eleusi (IV secolo a.C.). Wikipedia
Persino l’imperatore Adriano cercò di ricreare i misteri di Eleusi a Villa Adriana per ben tre volte, bevendo proprio la Kykeon (la pozione di Circe, appunto). Bevanda che ho avuto modo di far assaggiare anche durante una mostra. È importante venire a contatto con l’antico: i misteri eleusini servivano a riscoprire la vita attraverso il passaggio della morte. Noi non siamo più abituati a questo contatto e abbiamo bisogno di risvegliare i sensi!
Qual è il compito del turismo secondo lei?
Io parto dall’assunto di Italo Calvino, che scrisse che l’uomo moderno è addormentato. Il turismo deve stimolare a capacità non solo di guardare i monumenti ma di osservare il territorio, sentirne i profumi (gli scenziati stessi definiscono il nostro cervello “profumato”!). Un turismo sostenibile dovrebbe essere prima di tutto conoscenza di quei prodotti che ci portano a ricordare un posto come un posto ospitale, che ci ridà la carica e ci rieduca.
Oggi il viaggio è l’unica possibilità che abbiamo per cambiare perché, mentre trascorriamo il tempo lavorando, non abbiamo un tempo slow… quando invece diventiamo turisti, abbiamo la capacità di riflettere sul perché andiamo in quel luogo. Non possiamo più andare verso un turismo mordi e fuggi. La storia e l’archeologia vanno considerati sotto quest’ottica: non si può non cogliere l’aspetto sensuale di un quadro o un monumento.
Carlo Petrini – fondatore di Slow Food – lo dice spesso: non possiamo più avere una visione antropocentrica. Dobbiamo essere ecocentrici (non egocentrici, badi bene), se vogliamo la natura al nostro fianco. Dobbiamo educarci e ripartire da noi stessi: il contadino, il ristoratore o l’archeologo devono essere preparati per far diventare il territorio una terra madre, che faccia affiorare tutti i valori di quel territorio. È percorso lento ma che ci migliora.

Un affresco di Pompei con frutta, che può suggerirci alcuni dei gusti a tavola degli antichi romani. Wikipedia
Quali sono altri mezzi per veicolare la conoscenza approfondita di un territorio?
Mio padre mi portava spesso a Villa Adriana e mi diceva come guardare la natura, cosa vedere in un albero. Lui dava un significato a tutto quanto vedeva e mi raccontava perché aveva piantato un albero quando ero nata. Il racconto viscerale è importante: quando io accolgo delle persone nei miei corsi di cucina, il cliente si accorge se stai parlando con passione. Interessa un cibo non solo buono ma anche raccontato, territoriale.
Per esempio, uno dei progetti di Slow Food è il mercato della terra: i produttori sono tutti dietro a un banco di legno (come nei mercati dell’antica Roma) e da qui possono raccontare il prodotto. Le persone devono essere aiutate a capire le differenze tra i vari tipi di agricoltura.
Oppure: all’interno dei progetti “Orti a scuola”, ai bambini parliamo dell’agricoltura attraverso i miti. Sì, bisogna usare il mito, perché permette di accorciare le distanze con la verità. Le garantisco che funziona. L’altro giorno c’era appunto il mercato della terra a Tivoli. Abbiamo acceso il fuoco della primavera e spiegato ai presenti il valore dello spegnimento del fuoco invernale. Giocando, la piazza si è riempita e i produttori hanno venduto i loro prodotti!
Come possiamo riscoprire nel nostro territorio un luogo nuovo?
Attraverso i profumi e occhi più educati. Del resto, la parola turismo viene dall’antico Babilonese “turasakh”, che significa indeciso se bagnarsi nel Tigri o nell’Eufrate. Il contetto di turismo è proprio questo: capire cosa è più piacevole per noi e guardare con altri occhi i nostri luoghi. Stare a contatto con gli stranieri ti fa capire la differenza con gli italiani: noi non sappiamo ancora cosa abbiamo nelle nostre mani, mentre loro vogliono impossessarsi attraverso i sensi di ciò che non è loro ma che alla fine lo diventa…
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