Considerato nelle sue dimensioni, questo pianeta è forse lo stesso di sempre. Ogni tanto piove e qualche lembo di terra sprofonda e scompare, per riemergere chissà dove. E se non è l’uomo, con la sua smania di onnipotenza votata all’oblio, a cancellare frammenti di unicità paesaggistica, allora è un evento incontrollabile, casuale, che rimescola le simmetrie granulose di sabbie che ruotano tutte intorno all’Essere. È un’equilibrista questa Terra, che non cala mai ormeggi ma scivola sull’onda di aritmie universali che, ad ogni stagione, ne contraggono ed espandono le dimensioni formali, per riportarla sempre a una nuova origine.
Eppure l’illusione che la Terra possa sopravvivere prigioniera della sola dimensione umana, come stretta nel cappio di una memoria cieca oltre confine, redime e condanna, al tempo stesso, la bramosia che ci si possa insediare ovunque e imperiosamente espandere, erodere, consumare, rimescolare… talvolta migliorare.

Castello di Campello Alto, la stretta delle mura attorno al castello
Campello Alto germoglia dal seme dell’ambizione piantato intorno al 921, quando un barone della Borgogna, sceso da Reims in groppa al suo cavallo, s’innamora di questi paesaggi, di quest’altura sbocciata fra i terrazzamenti di ulivi che, come un vortice, sommergono la strada che dalle Fonti del Clitunno conduce al suo Castello.
Forse emule della tenacia che àncora gli ulivi alle pendici di questo ripido belvedere, più montano che collinare, il castello di Campello s’incastona sullo sfondo naturale di una tela mediterranea, offrendo, all’opposto orizzonte, l’infinita libertà di perdersi con lo sguardo lungo tutta la vallata che lo separa dalla Città Ducale di Spoleto.

Castello di Campello Alto, perdersi con uno sguardo
E se, da un lato, il tempo della nobiltà feudale, delle trame e della sete di dominio ci appare sepolto dal peso di un significato diverso, che queste mura hanno assunto ai nostri giorni, dall’altro appare comunque immobile, appollaiato in silenzio fra gli innesti di archi e torri che lasciano trapelare, nella giusta prospettiva, spiragli di cielo e monti rigogliosi.

Castello di Campello Alto, spiragli di cielo e monti rigogliosi…

Castello di Campello Alto: i ciottoli, come briciole di pane, guidano i passi…
È seguendo l’acciottolato ramificato per le viuzze del castello che si avverte la scia metallica di un passato turbolento. Risuonano i colpi di spada dei mercenari assoldati dal signore di Spoleto intorno al 1300 che, varcando la porta d’ingresso, assaltarono la fortezza campellina mettendo a ferro a fuoco non solo le case assiepate l’una sull’altra, a ridosso di volte e beccatelli, ma anche la tenacia delle donne colte a difendere l’onore e la vita di Campello.
L’eco delle fiamme che col loro fumo pungente corrosero i merli guelfi delle mura di cinta, arsero gli scuri che annebbiavano i barbari saccheggi e rubarono la vita di chi non riuscì a trovare una via di fuga, rimbomba nel cielo torvo di oggi, portando con sé il guadagnato silenzio di un’alcova acchiocciolata a ridosso dei bastioni in attesa di stagioni più miti, la speranza di un giardino urbano che promette colori in primavera, la contemplazione di antichi ruderi custoditi a memoria della perseveranza delle coriacee campelline.

Castello di Campello Alto: un’alcova acchiocciolata a ridosso dei bastioni in attesa di stagioni più miti…
Piccoli mondi troppo grandi per un unico pianeta, tante storie silenziose e sconosciute, cromosomi di un’Identità inconsapevole e tacitamente tramandata, sono lo spettacolo che travolge i sensi, impegnando lo sguardo a individuare il necessario da preservare seguendo gli squarci nell’ombra, diapositive delle moderne ristrutturazioni.

Castello di Campello Alto: il necessario da preservare si specchia negli squarci di luce nell’ombra…
Come la natura selvaggia delle erbe che con la loro tenacia trafiggono la malta delle mura, così lo spirito eterno di questo borgo, delle donne campelline e dei loro discendenti, s’insinua nelle fortificazioni dell’anima di coloro che vivono permeati dall’irriverente vizio della cecità. Cecità che spesso accorcia le distanze con il superfluo, ma che talvolta viene resa vana da un luogo d’incanto come Il Castello di Campello Alto.
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