Umbria. Piccola, ma non la più piccola, regione d’Italia. Senza nessuno sbocco sul mare, ma non è l’unica; però con tanti laghi: sì, su tutti il Trasimeno, ma anche Piediluco, Corbara, San Liberato, Alviano. Due province, una è Terni. Con la cascata delle Marmore, il santuario basilica di San Valentino e La Scarzuola di Buzzi. Ma non solo. Tante storie, e tanta Storia: da sempre mi affascina e mi innamora di questa regione, oltre la gente che vi abita, il mirabile intreccio di storia, arte e natura. Le sue suggestivi cornici, gli orizzonti e i panorami sono i perimetri, le porte di accesso entro cui entrare in luoghi di vita. Vi ricordate Mary Poppins che entra nei quadri con il suo caro amico Bert e i bambini della famiglia Banks? Ecco, così io mi sento quando, dopo Orte, da Roma, prendo la E45 ed entro in Umbria! Ciò che mi tiene legata e mi ha fatto affezionare a questa terra è la relazione che siamo riuscite a instaurare: non io ho scelto lei, ma lei ha scelto me, e, ogni volta che vi torno, mi rinnova una vocazione, una chiamata, una scelta, una visione dell’arte. L’ultima volta che sono stata in Umbria è stato Sabato scorso. Sono andata precisamente a Ferentillo, in provincia di Terni, per il convegno dal titolo “Il sogno di Faroaldo. L’abbazia di San Pietro in Valle”, in occasione della presentazione dell’articolo “Incanto in Valnerina” pubblicato sul mensile “Medioevo”. Nella splendida sala capitolare del monastero, il gruppo archeologico Naharki ha organizzato una bellissima giornata, nella quale quello che ci è stato offerto non è stata una semplice trasmissione di contenuti e informazioni, ma nella quale ci sono state donate testimonianze e ci sono state proposte delle esperienze. Ho sempre pensato che saper riconoscere la bellezza nel mondo significhi saperla riconoscere nelle strade delle nostre città, significhi allenare il nostro essere spirituali. Saper riconoscere la bellezza nel mondo significa esserle riconoscenti e credo sia un dovuto atto di cittadinanza. Perché le pietre parlano, ma hanno la forma di chi le educa a parlare. Le modalità di comunicazione di una comunità rappresentano la struttura stessa di quella comunità: le pietre dell’abbazia di San Pietro in Valle non sono solo pietre portanti di quella struttura, sono pietre portanti e parlanti di quella comunità. Il lavoro artistico credo che sia lavoro di costruzione di una comunità, perché è sì lavoro delle mani, ma prima di tutto degli occhi e del cuore. E allora stare di fronte un’opera d’arte come San Pietro in Valle, di fronte i suoi affreschi, i suoi sarcofagi, di fronte la lastra del magister Ursus, significa stare, essere, di fronte una storia. Le storie da sempre parlano all’uomo, permeano le esistenze: l’uomo è le storie che ha incrociato, le storie che gli sono state raccontate. Le opere d’arte sono narrazioni: i luoghi dove gli uomini si esprimono. Dare significato all’arte, significa visitarla, viverla, darle senso entrandoci in contatto con i cinque sensi, guardandola sì, ma anche sentendone l’umido delle chiese medievali sulla punta del naso, annusandone l’odore degli affreschi, toccando le pietre e i marmi, ascoltando gli echi di storie lontane che quell’arte ci riporta. Eppure, di tutti i sensi, l’arte uno ne sceglie specialmente per esprimersi, e non lo fa a caso: la vista. Vedere è l’unico verbo che definisce un’azione propria di un organo di senso, ma che non è sostituibile con il verbo “sentire”: un odore si può sentire, la sensazione di liscio, di ruvido, di caldo o di freddo, si possono sentire, un gusto si può sentire e un suono si può decisamente sentire. Il vedere no, vedere è un’altra cosa, vedere è sì qualcosa di sensibile, ma non è opinabile. Per me un alimento può essere troppo o troppo poco salato, se io sento freddo qualcun altro può aver caldo, quella musica può piacere o non piacere, ma se una cosa l’hai vista quella indiscutibilmente diventa parte di te. Per questo in greco antico, all’aoristo, quindi al passato, il verbo “vedere” cambia significato: diventa “sapere”. Se hai visto, sai. Non ne puoi prescindere. Non puoi far finta di nulla. L’arte è spazio che si fa tempo. Esistenza che prende forma e a cui si dà forma. L’arte è esistenza che prende posizione. L’arte è tempo, storia, che si fà spazio. Quello che hai visto, e che ora sai, non è soltanto un’immagine, ma, appunto, una storia. E non solo. Mettersi di fronte un’opera d’arte significa mettersi in gioco in una relazione fatta di persone e di contesti. Se le bellezze sono sempre tracce, impronte di persone, le emergenze più eccelse di un sotterraneo scorrere di vite di persone, che la natura l’hanno trasformata o abitata, che la storia l’hanno fatta e l’arte l’hanno realizzata o ammirata, è vero anche che sono proprio le persone che quei territori, quei luoghi contenitori di storie di vita, possono accenderli e animarli. Metterci anima per ridargli l’anima, per arrivare all’anima. E’ un po’ questo che credo sia successo e sia stato messo in atto Sabato: siamo stati messi di fronte un’opera d’arte, siamo stati messi di fronte a delle storie e a delle persone che hanno intrecciato la loro vita con quella di San Pietro in Valle. Il convegno è iniziato introdotto da Sebastiano Torlini, archeologo del gruppo Naharki Valnerina, operatore museale del Museo delle Mummie, sempre a Ferentillo, e dell’abbazia di San Pietro in Valle, ma soprattutto DI Ferentillo. Sottolineo questo perché credo sia un valore aggiunto: se un’opera d’arte, una storia sono raccontate da chi di quella storia ne fa da sempre parte perché ne discende, la proposta di mettersi in gioco di fronte quella storia e quella storia dell’arte sarà una proposta molto più credibile e verosimile, autentica e genuina. In questo credo risieda il valore d’intrattenimento proprio dell’arte: a volte diverte, ma non credo che sia soltanto qualcosa di così effimero; intrattiene nel senso che in-trattiene, trattiene dentro, non ci lascia scappare via, crea legami. Anzi no, non credo che diverta, perché divertimento porta in sé la radice di “divergere”, non fa pensare perché allontana. Invece credo che rallegri, metta ALLEGria, perché ALLEGgerisce, intrattenendo rende leggeri, ti tiene dentro i problemi, ma, rendendoteli meno pesanti, te li fa affrontare e risolvere. Dopo il saluto del sindaco, Paolo Silveri, è intervenuta l’autrice dell’articolo, Elena Percivaldi, ricercatrice, storica e saggista, innamorata anche lei di San Pietro in Valle, e che per questo ha deciso di scriverne un articolo e ha ideato l’evento. La studiosa ha fornito non soltanto un’accurata prospettiva a volo d’uccello della storia dell’abbazia, ma ha anche offerto aggiornamenti sulle ultime indagini e scoperte, in particolar modo della Prof.ssa Scortecci (Università di Perugia), purtroppo assente al convegno, soprattutto a proposito dell’interpretazione della famosa Lastra di Ursus, conservata nell’altare dell’abbazia. Sono poi intervenuti il direttore del mensile “Medioevo”, Andreas Steiner, e si è presentato il progetto “Lo Scrigno del Tempo – I Longobardi”, che prevede la pubblicazione di alcuni facsimili di importanti codici longobardi a cura di Capsa Ars Scriptoria. Ha concluso poi la parte relativa agli interventi dei relatori, l’architetto Giorgio Flamini, dell’associazione Italia Langobardorum, perché come si è accennato prima, le opere d’arte ci mettono sì di fronte una storia e a delle persone, ma è proprio per questo che generano contesti, reti. L’arte è capace di far rete fra le opere e costruire comunità di bellezze storico-artistiche. San Pietro in Valle non è una “cattedrale nel deserto”: bisogna unire le opere in dei percorsi per unire le persone in dei progetti. Percorsi che siano significanti e significati, luoghi come cornici e luoghi che parlano e che sono protagonisti: che intercettano dei bisogni, che si rivolgono a dei destinatari e che comunicano un contenuto. La giornata è poi così proseguita in maniera gradevole, dalle testimonianze direi che si è passati alle esperienze: all’esperta e piacevole guida all’abbazia tenuta da Sebastiano Torlini è poi seguito un momento di rievocazione storica, ad opera della compagnia Fortebraccio Veregrense, che ha proposto al pubblico uno spaccato di vita quotidiana longobarda, combattimenti e soprattutto brani musicali ricostruiti in base alle ricerche compiute nell’ambito del progetto Winileod (nato per sperimentare la musica altomedievale partendo dallo studio dei testi originali e del folklore), e realizzati grazie a ricostruzioni di strumenti dell’epoca. Per concludere ci è stato offerto un delizioso momento conviviale con un aperitivo a base di prodotti tipici del territorio, fra gli altri hanno collaborato alla realizzazione del buffet l’Azienda Agrituristica Biologica “La Drupa”e Birra Magester, la birrARTigianale. A questo punto potrei entrare nel dettaglio e raccontarvi di quanto è bella l’abbazia, potrei raccontarvi degli affreschi che ha anche visto Giotto, pitture che compongono il più importante ciclo di affreschi medievali in Umbria prima del cantiere assisiate. Potrei raccontarvi del maestro di Eggi, dei sarcofagi dei duchi longobardi, di quanto è bello leggere l’articolo di “Medioevo” e di quanto è buona la birra Magester. Ma non lo farò. Perché se è vero che una gioia è vera solo se condivisa, eppur vero che per ogni cosa c’è il suo tempo. E inoltre penso che la condivisone renda liberi, perchè non educa prestando soluzioni, educa trasmettendo strumenti. L’obiettivo di questo articolo non era farvi sapere di San Pietro in Valle e della Valnerina, era farvi venire la voglia di andare nella Valnerina, a Ferentillo, in San Pietro in Valle; era quello di farvi venire la voglia di mettervi in movimento, di farvi mettere in gioco da una storia per s-muovere le coscienze: l’arte nasce quando gli uomini si incontrano e le comunità si muovono. Nuova cultura nasce là dove gli uomini hanno intrapreso la strada della rivoluzione del bello. Una cosa però ve la voglio dire, sottovoce perché un po’ mi sono vergognata, ho cercato di non farmi vedere, ma io, di fronte la lastra del magister Ursus, mi sono commossa…
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