I temi di sostenibilità, ecologia e tutela ambientale sono il leitmotiv di questo nuovo millennio tanto in campo sociale che in quello architettonico. L’eco di questa tendenza, proveniente da quei paesi considerati “civilizzati”, sta permeando anche in Italia tra lo scetticismo dei privati e gli intenti speculativi di qualche azienda. Gli architetti, e ancor più le Archistar, che dovrebbero giocare un ruolo importante su questioni così significanti si limitano, invece, a scrivere ridondanti articoli o fare altisonanti conferenze, in cui, con toni enfatici, evidenziano come il loro lavoro sia stato eseguito secondo regole di valorizzazione ambientale. Facendo un’analisi più approfondita è facile capire come, oggi, ogni aspetto può essere incorporato nel concetto di sostenibilità col solo fine di diventare un incentivo economico.
Tutti gli aspetti di sostenibilità ambientale sembrano rilegati al gesto più o meno spettacolare di qualche nuova opera perché, risultato dell’economia di mercato e del sistema globale in cui viviamo, è che l’unicità ha raggiunto valore in sé.
Questo tipo di approccio, puntuale e fondato sulla grandezza e sulla singolarità, è stato per lungo tempo il modello di riferimento, mentre, per il prossimo futuro, sembra prevalere una logica interattiva, di connessioni e scambio. Il nuovo modello, che ha già avuto enorme successo, si pensi al grado di servizi e contenuti offerti da internet o alle connessioni realizzate tramite i social network (Facebook ha recentemente superato quota un miliardo di utenti attivi), è stato lungamente sottovalutato in campo architettonico e soprattutto in quello energetico.
Uno dei pochi pionieri su questo aspetto è senza dubbio l’economo Jeremy Rifkin, che nel 2003 ha scritto “Economia all’idrogeno. La creazione del Worldwide Energy Web e la redistribuzione del potere sulla terra” nel quale teorizza la creazione di un network energetico, fondato sulla microproduzione di ogni singolo cittadino/utente, l’eventuale immissione della sovra produzione nella rete a beneficio di chi non è riuscito a raggiungere la quota di auto sostentamento energetico.
Facendo uno zoom out, cercando di avere una visione sempre analitica, bisogna affrontare il tema delle connessioni, e dello scambio su piani differenti anche per quanto riguarda la scala planetaria.
Il modello di società occidentale continua a fondarsi su una configurazione molto antica in cui ogni “potenza” costituisce una monade a sé (si pensi alle restrizioni imposte dal governo americano dopo l’11 settembre o alla reticenza europea allo scambio con le culture dei paesi in via di sviluppo) non interagendo con quello tutto ciò che si trova al di fuori, in un folle voler voltare le spalle alla realtà. Il nuovo assetto del pianeta vede, invece, la crescita rapida dell’area africana-araba-cinese, dal punto di vista demografico fino a quello culturale. Queste culture hanno avviato un processo di accettazione dell’idea di connessione e scambio su più livelli, di permeabilità intellettuale (basti pensare al fatto che Dubai sia popolata dall’80% di popolazione non autoctona, mentre nell’Europa civilizzata quote del 10% sembrano eccessive). In ottica di produzione energetica è facile capire come queste siano le stesse aree in cui lo sfruttamento delle energie rinnovabili è maggiormente possibile.
In conclusione, credo che la strada che si dovrebbe intraprendere, al fine di ottenere una società sostenibile, sia quella di creare collaborazione, puntare a produrre connessioni ad ogni livello e rafforzarle, puntando su un continuo aggiornamento, adattandosi alla realtà in continuo mutamento.
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