Aituzza, bedda Aituzza.. putissi fari oru, di tutta ‘sta munnizza
tunnari a dari ancora a ‘sta città ‘na ‘nticchia di la tò biddizza […]Agata, bella Agata.. potessi farne oro di questa lerciume
tornare a dare ancora a questa città un po’ della tua bellezza […]
In una stanza d’albergo non si è solo lontani da casa, ma da quel mondo che ci fu familiare dalla nascita e dove si svolse la nostra vita: il nostro credere (che la vita forse era tutto lì). Con questi sentimenti e la citazione dialettica introduttiva compone il nuovo singolo Passau A Cannalora, tratto dall’album Il Tramonto dell’Occidente, Mario Venuti. Il cantautore catanese ancora una volta impiega il suo talento per rendere omaggio ad uno degli esempi più calzanti della pietà popolare siciliana: quella dei devoti etnei per la propria santuzza, Agatha!
Lì, il dialetto agevola Mario a narrare un luogo, contaminato sì, ma magico. Un affresco che immortala il folklore siciliano, dal lamento alla preghiera. Prodotto di un sentimento che delinea un processo evolutivo: semplice (emotivamente) ed allo stesso tempo complesso (religiosamente). La credenza non si abbandona né perisce facilmente; tenace e intimo s’innesta e risorge anche in aspetti nuovi e sopravvenuti dal di fuori. Così avverrà anche nel trapasso, pur così distante, dal paganesimo al Cristianesimo. Così tanto più facilmente si verifica storicamente tra indigeni ed elleni, data l’unità fondamentale che dobbiamo ammettere fra le rispettive intuizioni religiose. Quelle accadute e che si inseguono annualmente con le solennità, sono vicende che hanno un fattore esoterico. Siero del Rimedio ancora oggi è la tradizione , che permette di praticare l’eco orientale e il ricordo del sacrificio di “testimoni”, come quello della giovane martire, “oggi” patrona di Catania.
È facile constatare che la gente del meridione si diversifica, e non solo per i suoi tratti fisionomici, dalle genti del nord: tale originalità è un frutto maturato lentamente, a partire dalle epoche più antiche della storia, dall’incontro-scontro tra gli autoctoni e le popolazioni venute dal mare (Egeo). Da tale incontro si è innescato un processo di integrazione “a fuoco lento”, dalla quale è sorta l’originalità dell'”homo meridionalis”. La Sicilia accolse(?) il Cristianesimo fin dall’inizio, per mezzo della predicazione dell’Apostolo Paolo. Riconoscimento per certi aspetti drammatico, per altri unico al mondo, da cui tutto prende avvio come Insieme.
Insieme di elementi, di fattori, di generi.
Non è conoscenza nel vile senso del termine ma un procedimento che arriva dritto a noi; a poche ore fa. Stamani è tornata a “riposare” Agata, o meglio il suo simulacro, dopo una lunga processione per le vie catanesi.
La speranza nella cultura siciliana genera atteggiamenti diversi: nei confronti di Dio diventa attesa certa; nei confronti dei parenti strettissimi diventa certezza di aiuto, specialmente nei momenti di necessità; nei confronti degli estranei invece si affievolisce fino a divenire diffidenza e sfiducia. Nel breve lasso di un pensiero ogni volontà è giocata. Due diventano le “cose” più rapide: l’intuizione e l’aforisma, l’offerta e la preghiera, la pratica e la memoria- praticamente credere. Non si può negare che questa particolare sensibilità dipenda dalla vissuta partecipazione del popolo siciliano, nel caso catanese, alla dialettica morte-vita, pazienza-vittoria: la tragedia umana illuminata dall’esempio dei martiri, di Sant’Agata (presso Cristo). Appuntamenti scenografici come questi sono divenuti utili nel tempo per concedere al popolo fuorviante di prendere un impegno nuovo. È uno sforzo della pietà a dare senso a tanta sofferenza, anche degli innocenti, dell’esistenza umana – credere diventa motivo d’essere o essere fuori di sé (per raggiungere il sacro).
Il tramonto dell’Occidente dalle canzonette ritmate forse ci sveglierà per un attimo dall’accidentale errore che stiamo per commettere. Ma non è nostro compito qui assumere ruoli moralizzanti. Sebbene in questo contesto vi succede l’homo sapiens ici présent. Oggi, occorre superare il tradizionale atteggiamento di sordità nei confronti della nostra gente: non capirla e non valorizzarla nelle sue espressioni religiose sarebbe operare ancora una volta forme di violenza e atti di dominio. Questi giorni di febbraio, esempio come altri appuntamenti, annualmente fluttuano negli animi, creando coesistenza dialettica e dilemmatica di liturgia e poi religiosità popolare per rapportarsi al soprannaturale.
La Sicilia esiste solo come fenomeno estetico. Solo nel momento felice dell’arte quest’isola sa essere vera. Un concilio plenario di riconoscenze!
Orientamenti per l’armonizzazione della pietà popolare con la liturgia. Armonizzare il macrocosmo di quel faldone antropologico che ci ha preceduti: numeri ricorrenti (calendarizzati, simboleggianti), pietanze (piatti apotropaici), promesse ed altri fenomeni riconoscibili. Ma forse il popolo ha capito: questo meraviglioso vincolo tra verità e volontà è l’illuminazione che i Santi della nostra terra sanno regalarci per continuare a vivere!
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