Si è conclusa il 5 luglio la quarta edizione del Rome Fringe Festival, dedicato ai nuovi progetti artistici teatrali indipendenti: oltre un mese di spettacoli nei giardini di Castel Sant’Angelo, che hanno attirato un pubblico numeroso, giovane, appassionato. Oltre a 18 eventi speciali e interventi dalla scena contemporanea internazionale, il concorso ha visto la partecipazione di ben 82 spettacoli, votati sia da una giuria tecnica che dal pubblico. Il premio finale è andato a “Fäk Fek Fik – Le tre giovani – Werner Schwab”, lavoro autorale che assume a riferimento la produzione del drammaturgo austriaco e la visione che tramanda ai posteri, alle future generazioni di giovani dissidenti.
Tra i degnissimi semifinalisti del Fringe vanno segnalati “Gli ebrei sono matti” e “Guerriere – tre donne nella Grande guerra”, il primo un duetto (scritto da Dario Aggioli, anche in scena) tra un matto vero e uno falso, il secondo un one-woman-show, con la bravissima giovane attrice padovana Giorgia Mazzucato nella triplice veste di alcune straordinarie figure femminili segnate dalla tragedia bellica del ‘15-‘18.
A testimoniare la qualità delle proposte del festival, ci piace segnalare altri spettacoli che avrebbero anche loro meritato un premio: “L’orda oliva”, della giovane regista Ludovica Andò, è un progetto di grande valore, sia perché riprende il tema eterno dell’emigrazione sia perché gli attori sono quattro ospiti della Casa di reclusione di Civitavecchia. Si tratta quindi di un viaggio artistico e personale cominciato già da qualche anno, che ha portato i protagonisti a intraprendere una piccola tournée grazie ai primi permessi di uscita e, per due di loro, a entrare in progetto di lavoro diurno all’esterno: un felice scambio tra il mondo libero e quello recluso, nato in teatro.
“Non serve un abisso per sprofondare”. Così si ripetono l’un l’altro tre italiani su un piroscafo, antesignano degli odierni barconi: tre disgraziati, tre meridionali, inseguono il sogno di affrancarsi dalla miseria atavica incollata alle loro terre. Si affidano prima a un passeur per valicare le Alpi e raggiungere la Francia ma l’impresa fallisce. Si rivolgono allora a un ambiguo capitano di vascello, che promette loro di fargli attraversare l’Atlantico – pagamento anticipato, metà alla partenza e metà all’arrivo. Ma gli emigranti dovranno attraversare, dopo i marosi (“Il mare vero ci fa paura”), gli stereotipi, del tipo italiani 4 “emme”: mamma, mandolino, maccheroni, mafia.
Proprio come chi, oggi, affronta le incertezze di una moderna fuga dall’Egitto, dalla schiavitù della miseria, della guerra, della privazione di ogni diritto, per sbarcare su una terra troppo spesso indifferente se non ostile. D’altronde sono fuorilegge, analfabeti, vecchi, insomma disperati a cui non sarà rilasciato nessun passaporto: un’orda muta dalla pelle color oliva. Dal libero adattamento teatrale del racconto “Il lungo viaggio” di Leonardo Sciascia, con suggestioni e rifermenti al saggio di Gian Antonio Stella “L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi”, la pièce nasce da un percorso di riscrittura collettiva attraverso improvvisazioni, racconti, vissuti e idee dei partecipanti al laboratorio teatrale “Con Amleto dentro”.
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