Il concetto introdotto da Marc Augé in “Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità” definisce una serie di concetti tanto in chiave architettonica che in quella sociologica. All’interno della categoria non-luoghi rientrano tanto quegli spazi costruiti per un bene specifico, relativi ai trasporti, al transito, al commercio o al tempo libero; quanto il rapporto che viene a istituirsi tra questi e i propri fruitori.
Questo genere di spazio è definito per litote, mutuando il termine dalla retorica in cui si definisce una caratteristica attraverso la negazione del suo contrario, in relazione al luogo antropologico, ovvero, tutti quegli spazi che risultano identitari, storici, relazionari, quindi sociali.
La creazione puntuale e dislocata di questo genere di spazi funzionali ha portato a una poli-centralità rovesciando il concetto, ormai metabolizzato e storicizzato della città storica, portando all’assassinio del concetto di “viaggio” in favore del ben più concreto “arrivo e utilizzo” in tempi e modi prestabiliti in nome di un’apparente hi-life.
Questa logica parassitaria, nei confronti di alcuni punti focali, unita all’avanzamento tecnologico in tutti i campi, dal condizionamento artificiale alla velocità di movimento, ha portato alla perdita totale dell’uso livable dell’esperienza quotidiana di fatto concepita fino ad ora.
La ricerca condotta da Lazzari e Jacono nel 2010 ha mostrato come i centri commerciali siano, ormai, uno dei punti di ritrovo per gli adolescenti (la ricerca infatti è stata condotta su studenti delle scuole superiori), che li pongono al terzo posto delle proprie preferenze d’incontro, superati solo dalla casa e dal bar. Quei luoghi d’aggregazione come le piazze e le strade, tanto a livello macroscopico nelle realtà urbane maggiori quanto nei centri minori è andato via via perdendosi. La risultante che ne deriva è che questi sono per lo più vuoti urbani, spazi interstiziali per “l’architectura vulgaris” spontanea, luoghi in cui a farla da padrone sono le leggi personali e gli interessi dei singoli.
La natura matriciale della strada, le polarità costituite dalle piazze, concetti introdotti da Gianfranco Caniggia, sui quali egli basava la natura primordiale della città storica, sembrano scomparire in favore di becere leggi di mercato.
Questo genere di evento è stato studiato in America, (Rem Koolhaas scrisse “Junkspace” all’inizio del nuovo millennio), in cui il Mall effect è una realtà vissuta da molto tempo, in maniera molto più ampia (si pensi che il Mall of America conta 40 milioni di visitatori, o meglio fruitori-parassiti, l’anno) interrogando i cittadini sulle proprie abitudini. Il dato più indicativo che ne emerge è che gli americani stanno compiendo una revisione del proprio stile di vita in favore di un ritorno ad una concezione a misura d’uomo, non fondata su un atteggiamento puramente nostalgico, ma piuttosto su una visione qualitativa della stessa.
Valutando, perciò, la proliferazione che hanno questi eventi nel territorio italiano, solo Roma conta 594 tra centri commerciali, grandi magazzini e ipermercati e altri ancora fanno parte del programma di pianificazione territoriale, conoscendo già la logica naturale con la quale si punterà a tornare ad una visione slow-qualitativa della vita, una riflessione viene spontanea: “abbiamo davvero bisogno di provare un’equazione, una strada, di cui già conosciamo il risultato fallimentare?”.
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