
Lastra di terraccotta sulla facciata del municipio di Scicli (RG)
“Scicli città della pace e dei diritti umani”: è così che il paese originario di mio nonno accoglie me e gli altri blogger accorsi in Sicilia per il progetto Proagri, che mira allo sviluppo del turismo rurale in una regione più famosa per la costa che per gli interni.
Diventata celebre negli ultimi anni grazie alla serie tv “Il commissario Montalbano”, la città offre immediatamente alla vista dei suoi visitatori due lastre di terracotta che, a guisa di scultorei biglietti da visita, troneggiano sulla facciata del municipio. Il perché è facilmente intuibile: Scicli – come del resto tutta la Sicilia – continua a distinguersi per la sua capacità di accoglienza nei confronti degli immigrati che approdano sull’isola in cerca di una vita migliore.
Mi dirigo insieme al resto del gruppo (formato dai blogger di Direzione Italia, Travelling History e Luoghi Pensanti) all’interno del palazzo comunale, ex monastero benedettino. La stanza del sindaco, utilizzata come ufficio del questore nella già citata fiction, si affaccia su un panorama in cui il Barocco degli edifici si mescola – quasi a compensarla – alla brulla natura.
Non sorprende che Montalbano sia diventato cittadino onorario di Scicli, avendone permeato quasi ogni aspetto, senza averne però alterato le tipicità.

Paul e la nostra guida si affacciano dalla stanza del sindaco

Via Mormino Penna, riconoscita Bene dell’Umanità dall’Unesco
Il sole è alto nel cielo e l’effetto che provoca, riflettendosi nella tipica pietra bianca del luogo, ricorda i paesi arabi: difficile tenere gli occhi aperti di fronte a tanta luce.
Usciti dal municipio, camminiamo lungo via Mormino Penna, dichiarata dall’Unesco Bene dell’Umanità. L’atmosfera che si respira è di festa (è un sabato mattina di primavera): uomini e donne seduti all’aperto a leggere il giornale e turisti che si aggirano per le strade, stupefatti dalla magnificenza architettonica e naturalistica di questa fortunata zona d’Italia.
Più in là, troviamo uomini al lavoro: manca poco al 19 marzo, un giorno molto importante per gli sciclitani: San Giuseppe, qui, è il santo per eccellenza e nei “dammusi” (ambienti a pianterreno delle abitazioni) gli uomini più laboriosi preparano sfarzose bardature per i cavalli protagonisti della – ormai prossima – “cavalcata di San Giuseppe”. Ma attenzione: la tradizione non viene messa in scena – come ci si aspetterebbe – nel giorno del santo patrono. Il motivo? Non entrare in competizione con gli altri paesi che lo festeggiano. Quest’anno, infatti, la cavalcata si svolge il 21 marzo.
Fortunati coloro che vi possono assistere: incomparabile la bellezza dei manti, allestiti con rami di palme e coloratissime violaciocche.

Bardatura di un cavallo per la Cavalcata di San Giuseppe

Balcone barocco
Ma Scicli è tutta uno spettacolo: architettura, tradizione, storia e cinema concorrono a renderla un palcoscenico vivente. Per non parlare della gastronomia: inutile citare arancini, scacce (focaccie ripiene di ogni ben di Dio), cannoli… Del resto, la Sicilia è una delle mete predilette dei buongustai di tutto il mondo.
Dopo aver osservato gli uomini al lavoro in onore di San Giuseppe, ci dirigiamo infatti al Museo della Cucina Iblea. Qui si trovano reperti di una (commovente) storia: quella delle famiglie locali. Sedie, piatti, strumenti a noi sconosciuti si alternano a terra e sui ripiani di vetro, dichiarando un passato ormai lontano, anche se solo da un punto di vista ideologico.

Museo della cucina iblea
Un tavolo campeggia in mezzo a una delle sale, testimonianza visiva del potere patricarcale di un tempo, che ci viene raccontato dalla direttrice del museo: solo il capofamiglia poteva mangiare comodamente seduto, mentre la donna cucinava sbocconcellando qualcosa in piedi.
Le bellezze non terminano qui: la guida ci porta anche nello sfarzoso Palazzo Spadaro appartenuto alla nobile famiglia che qui si trasferì da Modica nel XVII secolo. Il palazzo è oggi sede espositiva delle opere del Gruppo di Scicli, famosa scuola di pittura e scultura contemporanee.
L’ora del pranzo è vicina ma non possiamo farci scappare la Chiesa di Santa Teresa, il cui interno tardobarocco è in grado di risvegliare in un attimo solo la vista di chiunque. Tele, stucchi e sculture si aggrovigliano ovunque spiazzando i visitatori, tanto più che l’esterno si presenta nella sua semplicità.
La nostra lunga giornata si conclude prima con l’ingresso nella Chiesa Madre, in cui spicca la Madonna delle Milizie, statua rappresentante un’insolita madre di Dio: nessuna dolcezza ma una tempra da guerriera; e dopo con la vista dei mostri di Palazzo Beneventano: qui il Barocco siciliano raggiunge il suo culmine. Facce deformate dalle emozioni più oscure dominano le strette vie che qui si incrociano, creando uno strano contrasto con la solarità del luogo, ricco di caffè all’aperto e negozi di artigianato.

Mostro di Palazzo Beneventano

Interno della Chiesa di Santa Teresa
“È la più bella città che abbiamo mai vista” disse Elio Vittorini. Per lui: “Più di Piazza Armerina. Più di Caltagirone. Più di Ragusa, e più di Nicosia, e più di Enna… Forse è la più bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città che sono belle”.
Questo spiega tutto.
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Tag:Elio Vittorini, Gruppo di Scicli, Montalbano, ragusa, Scicli, Sicilia, unesco