L’appuntamento è fissato per una mattina di gennaio al parcheggio dell’area archeologica di Cava Ispica, Modica. Per fortuna la temperatura è mite e non c’è vento. La passeggiata prevede una visita dell’area, non solo dal punto di vista archeologico ma anche dal punto di vista naturalistico. Guida d’eccezione è Ernesto Ruta, studioso di archeologia ma anche fine conoscitore del territorio dal punto di vista botanico.
Non appena il gruppo si forma, l’esperto attira l’attenzione di tutti sul grande ulivo secolare, il cui tronco gigante tradisce l’età della pianta. Qua e là aranci e limoni la fanno da padroni. Ci dev’essere anche qualche pirettu, l’albero del cedro.
Ciò che attira l’attenzione di Ruta è però un nespolo giapponese, conosciuto col nome latino di eriobotrya japonica. La pianta fa i fiori in autunno: all’apice dei rami produce infiorescenze costituite da piccoli fiori a stella di colore bianco.
I fiori lasciano poi il posto a frutti delle dimensioni di un piccolo uovo che, a maturazione, hanno buccia sottile e polpa arancione, mediamente aromatica e dal gusto dolce.Come si può osservare, l’albero ha già piccole nespole, che saranno mature alla fine della primavera.
Rispetto al nespolo europeo, conosciuto come mespilus germanica (che, a dispetto del nome, non proviene dalla Germania), questo produce frutti commestibili, mentre quelli del primo vanno trattati un po’ come le sorbe: prima del consumo, infatti, le “nespole europee” vanno lasciate ammezzire (fermentare) per alcune settimane in un locale fresco, disponendole in più strati separati da paglia all’interno di cassette.
Con le nespole si possono produrre anche gustose marmellate, associandole alla cannella, al limone o all’arancia. Dai noccioli, invece, si ricava un liquore (il Nespolino) profumato ed aromatico.
Lo studiosa attira la nostra attenzione sull’acanto (acanthus mollis), da noi chiamato a brancussina. Le foglie dell’acanto le riconosciamo spesso nei capitelli corinzi. Secondo la leggenda greca, la nutrice di una fanciulla corinzia (morta precocemente) depositò sulla tomba una cesta con gli oggetti più amati dalla ragazza, adottando la precauzione di ricoprirla con una tegola quadrata, per nasconderli e anche per prevenire furti.
Giunta la primavera, l’architetto Callimaco, che passava da quelle parti, vide la tegola sollevata da un cespo armonioso di foglie d’acanto cresciute sul sepolcro, quasi a simboleggiare l’immortalità della fanciulla. La visione gli ispirò l’idea del capitello corinzio, decorato appunto con le foglie dell’acanto.
Accanto, l’alaterno (rhamnus alaternus), un arbusto sempreverde alto fino a 5 m, diffuso fino a 700 mt di altitudine. Un alberello a foglia verde intenso abbastanza frequente nel bacino mediterraneo. Guardando a terra, scorgiamo la beta vulgaris, meglio nota col nome di aita, che subito richiama il gusto del famosissimo pastizzu r’aita.
Lì vicino fa capolino u ciaccarieddu, dalle foglie nastriformi molto lunghe, non commestibile. È un’erba che appartiene alla famiglia delle graminacee, a cui appartiene anche l’ampelodesmos tenax, conosciuta col nome di ciaccara, che si trova essenzialmente lungo le scarpate del fiume Irminio. La ciaccara veniva usata dai nostri nonni per costruire le liame, allo scopo di assicurare i regna; insomma, per legare i covoni di grano. Con i pennacchi dei fiori si facevano invece le fiaccolate di San Giuseppe. E con gli steli la pasta.
Pochi centimetri più in là, un’ombrellifera famosa: il finocchietto, il cui utilizzo in cucina è conosciutissimo. Poi i melograni, privi di foglie ma con il frutto ancora attaccato all’albero. I mai, caratteristiche margheritone gialle che fioriscono in primavera, sono già verdi. Si tratta di una pianta appartenente alla famiglia dei crisantemi. Poi la borrago officinalis, gli urraini, le cui foglie giovani sono variamente impiegate in cucina: la cottura elimina la peluria che copre le foglie. In moderata quantità, le foglie giovani sono usate crude in insalata e, episodicamente, anche i fiori.
Poi la famosissima malva, di cui il nostro territorio è ricchissimo. I fiori (ma in particolare le foglie) sono ricchi di mucillagini, che conferiscono alla pianta proprietà emollienti e antinfiammatorie per tutti i tessuti molli del corpo. Questi principi attivi agiscono rivestendo le mucose con uno strato vischioso, che le protegge da agenti irritanti. L’uso della malva è indicato contro la tosse ma anche per idratare e sfiammare l’intestino e per regolarne le funzioni, grazie alla sua dolce azione lassativa (dovuta alla capacità delle mucillaggini di formare una sorta di gel, che agisce meccanicamente sulle feci, agevolandone l’eliminazione).
Pochi metri più in là, il pisello selvatico e il verbascum sinuatum. Questa pianta, in particolare, in passato era usata contro la gotta, l’asma e i disturbi respiratori in generale e, infine, contro le emorroidi. Le foglie e i fiori vengono oggi usati in infuso come espettoranti (contro tosse, faringite e bronchite) e come diuretici. Accanto cresce un arbusto selvatico, con la cui infiorescenza, anticamente, si faceva a scupa ‘i tassu, che serviva per pulire le stalle e per raccogliere il grano nell’aia.
Lungo il sentiero, gerani spontanei, il sambuco (che permette diversi impieghi); e poi l’erba vaiola maggiore, della famiglia delle borraginacee, conosciuta da noi col nome di sucameli o cannateddi . Tutti noi, da bambini, ne abbiamo mangiato i fiori, gustandone il sapore dolcissimo.
Accanto cresce una pianta spontanea dai fiorellini bianchi delicatissimi, il cui profumo richiama quello del miele. E poi, in abbondanza, l’ortica, sulle cui proprietà è bene soffermarsi: l’ortica è una pianta perenne, appartenente alla famiglia delle Urticacee, che cresce solitamente in zone umide; sia le foglie che i fusti sono ricoperti da peli ad effetto urticante e perdono questa caratteristica 12 ore dopo la loro raccolta. Molto utile in presenza dei disturbi intestinali ma non solo: è usata anche contro la caduta dei capelli e l’eliminazione della forfora, in forma di decotto da frizionare ripetutamente sul cuoio capelluto.
Cresce poi la calendula. Anche per questa pianta vale la pena soffermarsi: la calendula è infatti ottima per la cura e la pulizia della pelle e per accelerare la guarigione delle ferite. Il suo infuso mostra una marcata azione coleretica, incrementa la secrezione di acidi biliari e la quantità di bile prodotta. Inoltre sono state documentate influenze sull’induzione del sonno.
L’esperto seguita nella sua esposizione. Il bello è che non abbiamo ancora lasciato il parcheggio del Parco Archeologico! In poche decine di metri, la natura si offre in tutta la sua ricchezza e varietà. Lungo i viali che ci condurranno tra le preziose testimonianze del passato, riconosceremo le piante e le essenze di cui Ernesto Ruta ci ha già parlato.
L’esperto consiglia:
Malva
USO INTERNO
Decotto: 1 cucchiaio raso di foglie e fiori di malva, 1 tazza d’acqua.
Versare le foglie e i fiori nell’acqua fredda. Accendere il fuoco e portare a ebollizione. Far bollire ancora qualche minuto, spegnere il fuoco, coprire e lasciare in infusione per 10 minuti. Filtrare l’infuso e berlo al momento del bisogno in caso di tosse, colite o stitichezza.
USO ESTERNO
Con il decotto così ottenuto, una volta raffreddato, si può trovare beneficio mediante gargarismi, in caso d’infiammazioni della bocca e della gola o mediante lavande in caso di irritazioni intime.
Ortica
Con le ortiche appena colte si può preparare un’ottima crema, che può essere consumata sulle tartine. Nel tritatutto elettrico riporremo le ortiche sminuzzate (gambo compreso), un po’ di prezzemolo, un paio di noci, uno spicchio d’aglio, olio extravergine di oliva, sale e limone. Tritare il tutto fino a raggiungere una consistenza cremosa e compatta; molto buona se consumata fresca, la crema si mantiene in frigorifero.
USO ESTERNO (rimedio contro la forfora)
Fare bollire in mezzo litro di aceto e 3/4 di litro d’acqua circa 100 grammi di foglie d’ortica per almeno 20 minuti; una volta che il liquido si è un po’ raffreddato, filtrate il tutto. Una volta a settimana, appena dopo il lavaggio dei capelli, usate il liquido ottenuto per frizionare il cuoio capelluto e, una volta terminato il massaggio, attendere dieci minuti prima di sciacquare i capelli.
Calendula
L’infuso di calendula si ottiene mettendo 2 cucchiaini da tè di fiori di calendula, essiccati all’ombra, in ¼ di litro di acqua bollente. Coprire la tazza e filtrare dopo 10 minuti di infusione.
Berne 3 tazze al giorno si rivela assai utile per regolarizzare il flusso mestruale e curare le mucose del tratto digerente e dello stomaco in caso di infiammazioni croniche.
L’infuso agisce anche su gengive e gola infiammata, mentre una garza in esso imbevuta dà sollievo se applicata su ustioni (anche quelle causate dal sole), eczemi, eruzioni cutanee o ferite.
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