Se viaggiare significa questa incredibile sensazione di miglioramento allora vi prego, viaggiamo.
La partenza è prevista per le 06:45 am da Malpensa e l’alba lombarda, timida e schiva, ci sveglia per volare verso una delle città più affascinanti d’Europa: Istanbul.
Porta d’entrata e porta d’uscita. Mi piace molto definirla così.
Due mondi, due culture che si incontrano e si fondono e si scontrano e si riamano, come in un vorticoso ballo che sembra non terminare mai.
L’entrata in città avviene tramite un taxi giallo che sfreccia, non curante, tra pedoni e macchine costeggiando parchi e mura romane. Guidare in Turchia: non sarà mai per deboli di cuore. Aggressività e decisione, prima di tutto.
Ma, improvvisamente, nei mie occhi riparati da occhiali scuri, cominciano a riflettersi moschee, trionfanti minareti, torri, tram, bazar, donne dal capo coperto, uomini urlanti, bambini a piedi nudi, il Bosforo, il Corno D’Oro, salite e discese vertiginose, auto, auto, auto, pescatori, musicisti di strada, bandiere turche al vento e sui palazzi, ancora auto. Questo e molto altro si fonde in un unico, lineare pensiero: io, qui, non conosco. Non conosco i modi, è tutto diverso, opposto; sono da un’altra parte, non sono in Occidente. E un brivido di adrenalina pura mi percorre la schiena.
Istanbul è per definizione città in movimento.
Quasi quattordici milioni di persone, ogni giorno, solcano le pietre delle sue strade; da Sultanamhet a Beyoğlu, passando per Eminönü (dove qui, perdersi tra gli angoli del Gran Bazar, diventa quasi naturale), la vita è presente in tutte le sue manifestazioni umane.
E’ tempo di ramadan inoltre, dove si rinuncia aspettando il calare del sole dietro la Moschea Blu.
Partire per Istanbul un giorno di luglio del 2013, significa soprattutto avere la possibilità e la fortuna di vedere con i propri occhi – e probabilmente per l’ultima volta – Gezi Park, piccolo parco che sorge in piazza Taksim, famosa ora per gli scontri e le proteste che si susseguono di giorno in giorno, senza sosta.
Nel parco veniamo subito colpiti dalle otto tombe. Sono quelle delle otto persone uccise dalla polizia turca in questi mesi di violenze e manifestazioni. Una ragazza ci racconta, in un inglese commovente, che il problema nasce da molto lontano, che il parco è da sempre l’unico punto della città dove molti cittadini di religioni diverse da quella islamica si incontrano per pregare o semplicemente per passare del tempo. Distruggere il parco perciò ha un significato molto profondo, oltre ad essere uno dei pochi (e comunque risicati) punti di verde del centro città.
È importantissimo quindi continuare a ricordare che, questa rivolta consiste nella lotta contro le politiche del governo di Tayyp Erdoğan, che legittima ogni giorno un inammissibile stato di polizia. La paura che si possa andare alla deriva verso una Repubblica Islamica è fortissima e legittima; la sensazione di perdita delle libertà più basilari, viene alla luce tutte le volte che un lacrimogeno della polizia finisce dritto contro il viso di un qualche pacifico manifestante.
“Non perdoneremo quello che avete fatto” gridavano un giorno migliaia di persone in corteo verso Taksim e davanti ai miei occhi: “la storia ci renderà giustizia”.
Tag:gezi park, gran bazar, istanbul, moschea, piazza taksim, turchia