Una delle sante più amate in Sicilia è Santa Rosalia. La santa visse nel XII secolo e la sua vita si mosse tra Palermo e Santo Stefano Quisquina.
Figlia del conte Sinibaldo e di Maria Guiscarda, all’età di dodici anni fuggì dalle proprie ricchezze ribellandosi ad un matrimonio di convenienza voluto dal padre, e si rifugiò per dodici anni (1150-1162) in una piccola grotta riparata dal fitto bosco naturale di latifoglie della Quisquina, nel cuore della Riserva Naturale “Monte Cammarata”, dove in suo onore oggi sorge l’ Eremo di Santa Rosalia.
Dopo i lunghi anni di penitenza alla Quisquina, a Rosalia fu concesso il ritorno a Palermo e la possibilità di trasferirsi in una grotta sul Monte Pellegrino, concessione dovuta alla commozione per la fede della giovane suscitata nella Regina Margherita, moglie del Re Guglielmo I.
La santità di Rosalia fu riconosciuta solo nel 1624, anno in cui le sue ossa, ritrovate sul Monte Pellegrino e portate in processione per le vie di Palermo, liberarono la città dalla peste.
La storia dell’eremo ha inizio poche settimane dopo il ritrovamento dei resti della santa, quando, il 25 agosto del 1624, due muratori palermitani trovarono la grotta e l’epigrafe nel secolare bosco della Quisquina, un’iscrizione in latino arcaico che riportava scritto: “ Io Rosalia, figlia di Sinibaldo, Signore della Quisquina e del Monte delle Rose, ho deciso di abitare in questa grotta per amore di mio Signore Gesù Cristo”.
La grotta è un luogo buio ed umido che i Saraceni chiamarono Quisquina, dall’arabo “coschi”, che significa “oscuro”, incuneato tra il Monte Cammarata ad est e il Monte delle Rose ad ovest.
Qualche anno dopo la scoperta dell’epigrafe, Francesco Scassi, un mercante genovese, decise di investire tutto il suo denaro nella costruzione dell’Eremo. Dopo aver fatto edificare la chiesa, decise di ritirarsi a vivervi con altri tre uomini. I quattro fondarono una congregazione indipendente di frati devoti a Santa Rosalia.
L’ultimo dei frati, noto a tutti come Frà Vicè (Vincenzo), visse gli ultimi anni della sua vita in solitudine, cibandosi di ciò che gli abitanti dei paesi limitrofi gli davano in elemosina.
Morì nel 1985, all’età di 92 anni.
Gli ambienti del convento, oggi adibito a museo, permettono la comprensione dello stile di vita degli eremiti.
- Il frantoio: conserva la macina per il grano e la grande vasca in cui l’uva veniva pestata per farne vino.
- La dispensa: fondamentale per conservare il cibo durante l’inverno.
- Le latrine: permettevano un sistema di scarico e smaltimento per i rifiuti organici nei terreni coltivati, dove fungevano da concime.
- Le cellette dei frati: arredate poveramente.
- La cucina: vanta due forni, quello giornaliero e quello di dimensioni maggiori, utilizzato per fare il pane per l’intera settimana.
- Il refettorio: separato dalla cucina da un’apertura che un tempo permetteva la raccolta dell’acqua piovana, così che i commensali si lavassero le mani prima dei pasti.
- La stanza del principe: qui un affresco dell’Ottocento, che raffigura il porto di Palermo e il Monte Pellegrino, fa da sfondo al mobilio.
- La legnaia: raccoglie aratri, strumenti di misura, gli oggetti abitualmente in uso in casa.
- La cripta: vi si accede da una botola posta di fronte all’altare centrale della chiesa; in quest’ambiente venivano portati i cadaveri dei frati per essere mummificati e poi riposti nelle nicchie scavate nelle pareti.
- Ultimo edificio del complesso è il Santuario, costruito in stile barocco negli ultimi anni del 1600. Qui per gli affreschi e le tele furono chiamati i fratelli Manno e lo scultore Filippo Pennino per realizzare la particolare Statua di Santa Rosalia.
Questa è stata realizzata con un unico blocco di marmo “ibrido”, cioè con due tipi di venature; non essendo omogenei e troppo difficili da lavorare, solitamente questi blocchi di marmo venivano scartati dagli artisti, invece il Pennino ha saputo armonizzare la parte bianca, con cui ha creato la veste e la parte grigia, con cui ha realizzato il mantello.
La magnificenza di questo luogo è più unica che rara, anche se purtroppo poco conosciuta, ma chi vi è stato difficilmente ne cancella il buon ricordo.
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