Nel cuore della Garbatella, storico quartiere della Capitale, quattro giovani creative si sono poste una domanda: è possibile fare moda da un’altra prospettiva? Simona, Martina, Alma e Angela hanno risposto di si.
Ispirandosi alla filosofia di Serpica Naro, il brand ideato da alcune precarie della moda di Milano, hanno creato Re Do: un marchio, una casa di moda, un laboratorio che parte dai materiali a disposizione per creare le proprie linee, riutilizzando scarti tessili domestici e scarti industriali. Ma Re Do non è significa solo riciclo: è anche Open Wear ed Edufashion.
La filosofia che sostanzia il marchio romano, infatti, si nutre di una visione critica del settore della moda, di lavoro sinergico, di formazione estetico- etica, di reti creative multipiattaforma.
La moda è un ingranaggio collettivo, dicono le giovani stiliste: il Daily Slow ha voluto approfondire, chiedendo a Simona, Martina, Alma e Angela cosa voglia dire, nel settore della moda, seguire un modello di lavoro etico.
Negli ultimi anni si parla sempre più spesso, grazie soprattutto alle campagne di Greenpeace sulle grandi firme, di moda sostenibile: no alle sostanze tossiche, alle procedure nocive per l’uomo e l’ambiente, ai metodi inquinanti. Ma voi fate qualcosa in più: riciclate i materiali che i cittadini vi portano o che recuperate, insieme agli scarti industriali. Cosa vuol dire, nel mondo della moda, creare linee con questi materiali? Quali problemi, o vantaggi, pratici riscontrate nel seguire un modello “etico”?
Abbiamo iniziato recuperando vecchi abiti, adesso lavoriamo solo con scarti industriali, materiali da macero di magazzini di abbigliamento, vele di barche. Creare abiti, pensarli e realizzarli in questo modo, vuol dire partire dal materiale e poi pensare all’abito.In genere le case di moda fanno il contrario, disegnano una collezione e poi scelgono le stoffe con cui realizzarli. Noi partiamo dai materiali e creiamo la collezione.
Il problema principale è trattare i materiali che recuperiamo. Sia gli scarti industriali, che le vele di barche devono essere lavati, disinfettati, provati nella loro capacità di tenere il colore. Solo dopo tutti questi passaggi possono essere da noi utilizzati.
“La moda è un ingranaggio collettivo”: un motto molto interessante, che ribalta la prospettiva del grande stilista singolo, a capo di una gerarchia di lavoratori, che firma personalmente i propri modelli. Cosa vuol dire nei fatti?
Per noi vuol dire lavorare in sinergia tra: il materiale usato, chi crea, chi produce, chi indossa , chi parla di noi e infine chi acquista. Scegliere Redo, vestirsi sostenibile, vuol dire far parte di un tutto, pur mantenendo la propria individualità. Questa partecipazione attiva alla realizzazione di un abito -che la maggior parte delle volte può essere indossato in modi differenti oppure essere composto direttamente da chi lo acquista- è per noi un’esaltazione dell’individuo e del gusto personale: ma, nello stesso tempo, fa si che la partecipazione alla costruzione dell’abito diventi un evento collettivo dinamico e non scontato. Inoltre, per noi “collettivo” vuol dire anche creare rete, sia tra simili della moda, ma anche tra realtà, industrie, piccoli imprenditori che hanno fatto dell’eco sostenibilità e del buen vivir, i loro punti di forza.
L’Open Wear, una sorta di open source dei modelli, è uno dei punti di forza che hanno dato vita al vostro progetto, cosa cambia rispetto alla prospettiva del “pezzo unico”, da sempre cavallo di battaglia dei grandi marchi?
Il fatto che si creda che un Open Wear non possa essere un pezzo unico è sbagliato. Si condivide un cartamodello, un’idea di abito. La soggettività e l’unicità sono fattori necessari nel momento della realizzazione: difficilmente due persone eseguiranno lo stesso abito, nella stessa identica maniera. Più probabilmente, useranno stoffe diverse a seconda del luogo in cui si trovano o del materiale che hanno a disposizione: useranno una lampo o un bottone differente, modificheranno o aggiungeranno accessori secondo i proprio gusti.
Chi pensa che nella moda non si copi e che il suo pezzo sia unico e inimitabile sbaglia. Noi abbiamo deciso che essere copiate vuol dire condividere, non essere “derubate”.L’importante nell’open wear è che poi si citi sempre la fonte d’ispirazione e si modifichi a seconda del proprio gusto, rispettando comunque i valori etici che sono alla base del progetto. Chi aderisce all’open wear deve a sua volta mettere a disposizioni i suoi modelli. Così, un pezzo unico realizzato a Roma farà il giro del mondo arrivando a comparire a NY, piuttosto che a Tokio. Open Wear vuol dire soprattutto non rimanere chiusi nel proprio laboratorio.
Edu-fashion: educare alla moda etica. Un concetto che si riallaccia a quello d’ingranaggio collettivo: secondo voi, è davvero possibile a livello economico, produrre “diversamente”? Un marchio sostenibile può essere anche competitivo?
Assolutamente si. Ci crediamo fortemente.
L’aspetto della formazione sembra molto importante e strettamente legato a quello di edu-fashion: quali sono i corsi che proponete?
Proponiamo dei mini corsi di cucito. Li abbiamo chiamati “Do it yourself”: sono legati, appunto, al concetto del “saper fare” e della “condivisione dei saperi”. Sono tre corsi che possono essere seguiti singolarmente: tre lezioni da due ore. Chi si ferma al primo saprà usare la macchina da cucire e eseguire un orlo ai pantaloni: mentre, man mano che si va avanti nelle lezioni, si riuscirà a realizzare dei capi di abbigliamento o accessori rifiniti.
Dalla creazione di Re Do sono passati due anni. Mentre il concetto di “consumo critico” si diffonde sempre di più su determinati temi, come ad esempio il cibo, notate lo stesso interesse per gli aspetti etici della moda?
Noi pensiamo che il futuro del paese Italia e del mondo debba necessariamente valorizzare le piccole produzioni, etiche, che rispettano l’ambiente e i lavoratori. La vediamo come unica soluzione possibile per uscire dalla crisi e per continuare a vivere in un mondo che sia degno di questo nome.
Dove si possono trovare le vostre collezioni?
Per ora le nostre collezioni vengono proposte tre volte l’anno, all’interno della nostra Redo factory alla Garbatella di Roma: ma contiamo di crescere entro tempi brevi e di contaminare il mondo. Per tutti gli interessati a ricevere l’invito della presentazione alle nostre collezioni, basta scriverci alla mail redo.factory@gmail.com, per essere inseriti nel nostro gruppo contatti: oppure si possono seguire le vicende di RE Do sul nostro gruppo Facebook.
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