Una vicenda particolarmente grave e, allo stesso tempo, parecchio sottovalutata: è quella dei 30 attivisti di Greenpeace arrestati sulla Arctic Sunrise, che ora rischiano due mesi di detenzione nelle carceri russe, con l’accusa di pirateria, pena per cui è prevista la reclusione fino a 15 anni. Gli attivisti sono in stato di fermo dal 19 settembre, dopo l’azione dimostrativa contro la petroliera artica Prirazlomnaja, di proprietà del gigante energetico Gazprom.
I fatti. L’Arctic Sunrise, nave della campagna #Free The Arctic, è stata trattenuta dalla guardia costiera russa nel Mare della Pechora, e rimorchiata nell’estremo nord, vicino alla città di Murmansk, dopo l’azione pacifica contro le trivellazioni nella regione, condotta dall’equipaggio che ha avvicinato la petroliera. Ma la Guardia costiera russa reagisce subito, fermando subito Sini e Marco, gli attivisti che stavano conducendo l’azione dimostrativa e poco dopo abborda l’Arctic Sunrise fermando i 28 attivisti, fra cui 2 giornalisti freelance, più un operatore video e un fotografo.
Un abbordaggio illegale, secondo Greenpeace, perché la definizione legale di pirateria prevede che ci sia non solo un’aggressione violenta –cosa che non è avvenuta- ma anche che l’aggressione sia fatta nei confronti di una nave. Inoltre, la petroliera si stava già allontanando, “navigando intorno alla piattaforma Prirazlomnaya alla velocità di tre miglia nautiche, in acque internazionali”.
“Questa irruzione illegale su una nave che protestava pacificamente evidenzia quali misure estreme il governo russo è disposto a prendere per tenere le trivellazioni di Gazprom lontane dal controllo pubblico -ha immediatamente dichiarato Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International- Chiediamo al Presidente Vladimir Putin di trattenere la Guardia costiera e di ordinarle di rimettere nella fondina le pistole e ritirarsi. Siamo un’organizzazione pacifica e la nostra protesta non si merita questo livello di aggressività”.
Naturalmente l’appello non ha avuto effetto: subito dopo l’arresto, il ministro russo degli Affari internazionali ha dichiarato che “la Guardia costiera è intervenuta perché l’Arctic Sunrise rappresenta una minaccia alla sicurezza e all’ambiente”.
L’accusa. Dopo due giorni di trattative, la Russia formalizza l’accusa: pirateria. Il reato prevede fino a 15 anni di reclusione: inoltre, la legge russa permette di prorogare le detenzione per tutta la durata delle indagini e del processo, fino a un massimo di 12 mesi, ma con proroghe ulteriori previste per i reati gravi come quello di cui sono accusati gli attivisti di Greenpeace. Il 23 settembre gli attivisti abbandonano la nave alla volta delle carceri russe.
Il 27 settembre arrivano le sentenze: 22 dei 30 attivisti di #Free The Arctic rimarranno in custodia cautelare per due mesi, in attesa dell’esito delle indagini. I restanti otto attivisti invece saranno riascoltati dai giudici, dopo i 3 giorni di custodia cautelare previsti. Il 30 settembre, infine, arrivano le sentenze anche per gli otto attivisti in sospeso, identiche a quelle precedenti.
Malgrado l’appello dei legali di Greenpeace contro il provvedimento, non si prevedono aperture da parte del governo russo: il 2 ottobre, infatti, il primo ministro Dmitri Medvedev ribadisce che il governo esaminerà un eventuale inasprimento delle pene per coloro che penetrano abusivamente all’interno degli impianti energetici privati. Il 3 ottobre il nostro governo reagisce con l’intervento di Emma Bonino: fra gli attivisti di Greenpeace, infatti, c’è anche un italiano, Cristian D’Alessandro.
“Il petrolio dell’Artico fa gola a molti – si legge sul sito che riporta comunicati e timeline delle vicende- ma non risolve i problemi energetici: si tratta di una quantità marginale a livello globale. In cambio rischiamo un disastro ambientale senza precedenti: le tecnologie esistenti per intervenire in un incidente petrolifero non funzionano a temperature così basse come quelle artiche. Sarebbe un disastro totale: in caso di incidente verrebbero coinvolte fino a 3 mila miglia di coste. E a pagare non sarebbe certo Gazprom, ma i cittadini e l’ambiente”
Il sostegno agli attivisti arriva da tutto il mondo: oltre 50 organizzazioni ambientaliste ne chiedono il rilascio. Il 5 ottobre l’appello per #colpevolidipacifismo, per liberare gli attivisti #FreeTheArctic30 raggiunge il milione di firme. Si muove anche l’Olanda, con il Ministro degli Esteri olandese Frans Timmermans che, in una lettera al Parlamento, scrive:
“L’Olanda ha avviato una procedura di arbitrato sulla base della convenzione Onu sulla legge del mare”.
Le condizioni dei detenuti. Ed è di oggi l’annuncio di Greenpeace sulla presentazione di alcune denunce per violazione dei diritti umani: non tutti i detenuti hanno accesso all’acqua potabile, non possono muoversi, vengono ripresi in video continuamente e nelle celle le temperature raggiungono livelli molto bassi.
Sono quindi le condizioni di salute a preoccupare Greenpeace e le famiglie di attivisti e giornalisti: varie notizie non confermate si rincorrono e contribuiscono ad inasprire la delicatissima situazione, come quella diffusa dall’agenzia Ria, che il 3 ottobre riportava la notizia secondo la quale un attivista inglese avrebbe avuto un attacco cardiaco.
L’appello della famiglia di Cristian. E’ di ieri, invece, l’appello promosso dalla famiglia di Cristian D’Alessandro, l’attivista italiano in stato di detenzione insieme ai suoi compagni: Raffaella Ruggero, madre di Cristian, ha chiesto nuove iniziative al ministro degli Esteri Emma Bonino, durante la trasmissione di Lucia Annunziata In 1/2h. Inoltre, una lettera al Presidente Napolitano per ribadire che:
“Mai avremmo creduto di vederlo in prigione, lui persona pacifica, non violenta, amante della natura, della musica, della compagnia semplice e schietta, accusato di pirateria e di atti violenti”.
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