
Modica di notte
C’è una ragione per cui chi si sofferma davanti a un presepe non può che dare un’occhiata al proprio passato di bambino e una al futuro incerto che lo attende. E la ragione sta nel fatto che in ogni presepe, ricco o povero, tradizionale o futuristico che sia, chi osserva si riconosce: riconosce la storia narrata da un nonno, ascoltata in chiesa, ripetuta a scuola.
La magia di alcuni presepi, però, consiste nel fatto che essi hanno spesso la capacità di raccontare non solo la Storia ma anche – nelle loro grotte, nelle botteghe e dietro agli usci – le microstorie dei personaggi che lo popolano e, con loro, quelle di un intero territorio.
Ecco qual è l’essenza prima del presepe: saper narrare in varie lingue la stessa storia, quella in cui tutti ci riconosciamo: dal latino “Maria peperit filium suum primogenitum, et panis eum involvit, et reclinavit eum in praesepio: quia non erat eis locus in diversorio” (Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro in un albergo), alle lingue moderne, fino ai dialetti; tra tutti, quello della terra iblea: “A ddi tiempi friddusi e scuri jttau Cesari nu bannu, e li poviri e signuri tutti a sciviri si vannu…” (a quei tempi freddi e oscuri, Cesare emanò un bando e poveri e signori tutti andarono a iscriversi).

Presepe di Modica
Anche in terra iblea è possibile gironzolare, in questo periodo, tra presepi di diversa fattura. Tra i più belli, due, in particolare, sono conosciuti per la loro delicatezza e importanza: quello di Scicli e quello di Modica.
Casette ricavate nella roccia, in cui l’occhio del viandante sbircia, per osservare abitudini quotidiane: è possibile cogliervi donne al lavoro, che rincorrono con sguardi materni i loro piccoli monelli, i quali si dileguano dietro vicoli nascosti per giocare. La luce si diffonde colorandosi di un giallo dorato: merito della pietra calcarea, che sa cambiare al tocco di raggi discreti.
Il fiume – ce ne è sempre uno in ogni presepe – scorre inesorabile e dalla rupe raggiunge vallate in cui germina vita. “…Quannu Cesari jttau ddu gran bannu riurusu, San Giuseppi si truvau ‘nta na ciazza rispittusu…” (quando Cesare emanò quel bando terribile, San Giuseppe si trovò in una piazza, poveretto).
Queste e altre sensazioni si provano davanti al presepio monumentale di Santa Maria di Betlemme di Modica, risalente al 1882 – un presepio in terracotta realizzato da padre Benedetto Papale con 66 pastori, alti da 30 a 60 centimetri – o davanti a quello di Scicli, in stile napoletano, risalente al 1576 e di autore ignoto. Quest’ultimo, restaurato dopo il 1693 da Pietro Padula e composto da statue di legno, è custodito nella chiesa di S. Bartolomeo.

Presepe di Scicli (fotografieitalia.it)
La magia risiede in quel ritrovarsi, con la mente e il cuore, a ripercorrere sentieri mai dimenticati e costumi antichi, certamente mai indossati ma non per questo stranieri. È così che il viandante sente, addentrandosi nel percorso del ricordo, il bisbiglio di cunta antichi e detti che, di porta in porta, si offrono all’ascoltatore fantasioso: “…San Giuseppi era cunfusu ri purtarisi a Maria e lu tiempu era friddusu, ci scurau ammienzu a la via…” (San Giuseppe era confuso all’idea di portare con sé Maria e faceva freddo e arrivò il buio lungo il cammino).
È un percorso ritirato e silenzioso nell’anima del Natale, quello che ci si concede guardando un presepe. In ogni presepe, una grotta – mai la più fastosa, al contrario: la più discreta – accoglie la Madonna. San Giuseppe è ormai sereno. Trova pace in un riparo e aspetta che si compia la magia del Natale: “…Arrivati a menzannotti cci nasciu lu bamminieddu ‘mienzu ‘o voi e ‘o sciccarieddu cci nasciu Ghiesuzzu beddu…” (A mezzanotte nacque il bambino, tra il bue el’asinello nacque Gesuzzo bello).
Anche il pellegrino rimane nel silenzio della memoria. Poi, un canto antico, un monito a non indugiare: “…Tutt’an cuorpu si rapìu lu stiddatu e ccu’ ‘na trumma ‘a ‘na picca ri pastura n’ancilieddu cumpariu: o viniti ca nasciu lu gran Re ri la natura e nasciu puvirieddu ‘nta na povira manciatura” (D’un tratto si aprì il cielo e al suono d’una tromba apparve un angelo che annunciò: Oh venite a vedere il gran re della natura, nacque povero in una povera mangiatoria).
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