Poco fuori Sampieri, nel territorio di Scicli, lì dove la collina ormai declina verso il mare e dove il mare ancora si domina tutto da ponente a levante, è adagiato un museo. Si tratta del Museo della Pietra, creato, allestito e curato da Tano Mormina. Dire di lui è difficile perché ogni titolo, da professore a dottore, in fondo ne esclude un altro; lasceremo perciò che a parlare della persona siano i luoghi e le sensazioni che questi suscitano in chi di proposito si reca qui.
Trovarlo per caso è del tutto improbabile. Il Museo della Pietra, infatti, ha un grande pregio: quello di nascere dalla pietra e di inserirsi in essa e nella macchia mediterranea, rispettando, del panorama, le curve e le linee. Così bisogna prendere l’auto; proprio sul promontorio del Trippatore, alle spalle della piccola stazione di Sampieri, il Museo si scorge appena.
Lì, Tano Mormina, recuperando le sue origini di mastro scalpellino, ha inciso la terra e ne è fiorito un luogo apparentemente naturale. Infatti, se di primo acchito tutto sembra esserci da sempre, addentrandovisi ci si rende conto che, al contrario, tutto è frutto del lavoro,della fatica e dell’ingegno umani: quelli del padrone di casa. Un’aia per la trebbiatura, una macina per la raffinazione del frumento e un’altra per la preparazione del “caturro”, da altri detto “cuturro”, un alimento integrale, fondamentale in passato nella dieta della povera gente [ne abbiamo già parlato ne Il Daily, n.d.r.]. A chiudere il cerchio, non solo un forno in pietra di fattura albanese, che scopriamo essere più alto del tipico forno nostrano, ma anche una grotta in cui dedicarsi al lavoro del pane, recuperata dalla roccia con la fatica delle mani.
A scandire il tempo dei più pignoli, che non si accontentano di indovinarlo seguendo le ombre del sole sulla terra, un orologio inciso in una macina a dodici spicchi. Per dirla col suo scultore, “un orologio biologico che serve a scandire un tempo che di noi non si cura ma che segue il suo battito indipendentemente”. L’idea è dei cinesi ma Tano Mormina ha voluto appropiarsene, trasferirla in questo lembo di terra. Dodici spicchi attorno al collo della macina: ogni spicchio è un organo del nostro corpo e su di esso sono scolpiti numeri romani e lettere che corrispondono alla circolazione energetica nelle ventiquattro ore (l’energia circola nell’organismo umano secondo un ciclo di ventiquattro ore, con un ritmo ben determinato). L’orologio biologico volge il suo occhio a oriente ma domina la vallata fino all’orizzonte percepibile.
A destra di chi guarda il mare, onde di grano, appena scosse da un lieve ponente, fanno il verso a quelle del mare che su tutto domina. Protagonista discreta, priva di quella caratteristica che le è propria, la pesantezza, la pietra. Sì, perché Tano, come il padre Giovanni, il fratello Antonio e lo zio Ignazio, con la pietra ci parla e da quella ne trae muti segreti. Tra gli altri, per esempio, la ragione della sua peculiarità: la durezza dovuta alla sua anima.
Un’anima di piccole conchiglie, che conferiscono alla pietra (che si trova in contrada San Brasi) la giusta consistenza, per diventare, in passato, una macina richiesta in tutta la provincia e oltre. Un’arte, quella di costruire la macine da mulino, che si tramanda di padre in figlio, insieme a tutti gli arnesi del “pirriaturi” [anche di questo abbiamo già parlato, n.d.r.]: dalla mazza al mazzuolo e al palanchino, dal martello a testa, per tagliare la pietra, alla squadra e ai cugni, che insieme a tutti gli altri sono sistemati, con precisione, in una bacheca che li custodisce.
Lui, l’artigiano, il medico, si giustifica spiegando che sua madre fu Chiafura [quartiere di Scicli, n.d.r.], con le sue grotte e il ventre che lo accolse. Ma perché un medico si dedica a tutto questo? “Sono cresciuto facendo lo scalpellino ma la pietra è dura; così ho cominciato a studiare ma la mia passione era ricreare il passato con le sue suggestioni e dare al passato dignità ritrovata anche attraverso la messa in scena di vere piéce che del pane sono protagoniste assolute”.
A dare un senso alle sue parole, in un angolo della collina, un teatro ricavato nella pietra, che può accogliere fino a ottocento persone, conferma l’idea che quel posto non è solo ricordo ma riproposizione di una storia che molti non conoscono ma che sa rivivere come a teatro.
* I consigli di Slow Tourism su dove dormire:
– B&B San Placido Inn, Catania
– B&B Il Vigneto, Trecastagni (CT)
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